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Rucco presidente: l’inciucio è servito

Il neo-eletto di palazzo Nievo uscito da una competizione senza competizione, pur uomo di centrodestra è l’erede della politica della cooptazione cara al suo predecessore democratico

Francesco Rucco, attuale sindaco civico di Vicenza a capo di una coalizione di centrodestra è il nuovo presidente della provincia berica. Il suo nome, uscito da una consultazione aperta ai soli sindaci ed ai soli consiglieri comunali della stessa provincia ha avuto un esito scontato visto che era l’unico candidato. Si tratta di una condizione anomala, figlia della legislazione anomala che doveva abrogare le province ma che ne ha abolito solo il meccanismo che ne prevedeva la elezione diretta del consiglio, come succede per i comuni.

L’ente è rimasto, con quasi tutte le funzioni che aveva prima, ma è stato privato del controllo democratico garantito agli elettori e privato di una buona dose delle risorse necessarie per il suo funzionamento. Un pasticcio tanto indecente quanto programmato che trova origine nella legge che nel 2014 doveva riformare questo soggetto territoriale intermedio costituzionalmente riconosciuto: l’argomento non è nuovo, Today.it lo ha già sviscerato lo scorso anno, ma che oggi si ripresenta nella sua crudezza.

LE ANOMALIE E IL PESO DELLA PROVINCIA

Anomalia nella anomalia (e la cosa dovrebbe far riflettere su che cosa sia davvero la democrazia, diretta o rappresentativa poco importa), l’attuale presidente è uscito da un voto un cui non si è presentato alcun competitor su una platea di potenziali concorrenti di 1500 persone. La recente apertura di Rucco alle grandi opere (Pedemontana Veneta e Tav in primis) fa pensare ad una grande alleanza sui dossier davvero scottanti tra Pd, Lega e Fi. Il tutto a fronte di un M5S talmente inebetito dai suoi limiti, dalla sua inconsistenza sul territorio e dal fascino indotto (almeno per l’ala più conservatrice del movimento) verso diversi temi cari al Carroccio da non poter provare nemmeno a scalfire un sistema tanto ingessato quanto imperscrutabile.

Epperò la provincia alcune competenze di peso le ha eccome. Basti pensare alle autorizzazioni ambientali (il caso Miteni insegna), alla potestà su strade e scuole. Di fatto Rucco, alternando gli scranni di palazzo Trissino e quello di palazzo Nievo, si troverà a dirigere lo stesso duopolio che prima di lui aveva retto l’ex sindaco democratico Achille Variati. Ed il fatto che nessuno si sia presentato per rompere, almeno con una candidatura di bandiera, la marcia di Rucco, la dice lunga sugli accordi sottobanco con i quali tutta la politica berica ha dovuto fare i conti. Una candidatura solipsitica che non è solo il risultato di un accordo ma che è un segnale preciso per l’establishment economico che le prerogative di quest’ultimo non saranno messe in discussione. Sul fronte opposto però, quello del controllo dal basso, è mancata la cittadinanza. Ed è questo il dato più preoccupante perché è il sintomo di una società civile (per il senso che può avere questa espressione ritrita) completamente polverizzata tra un tweet sullo smartphone e un pellegrinaggio nell’outlet più vicino.

Da tempo la provincia è, per sua stessa natura, non un luogo di esercizio della democrazia, ma una centrale unificata nella gestione di alcuni poteri e di alcuni interessi. Tutto ciò è gravido di conseguenze oscure, perché inietta nel cittadino l’idea che la cosa pubblica sia solo amministrazione, ovvero gestione e non declinazione concreta degli orizzonti di una società (sempre che quest’ultima ne abbia ancora). Il che non è solo la concrezione del doroteismo nella sua accezione più pura, ma è l’anticamera di una dittatura impersonale in cui la funzione domina e plasma l’orizzonte politico ed umano. Ebbene, per quello che stava accadendo nel vicentino, tranne qualche voce, nessuno ha avuto da obiettare granché. Segno evidente della risacca civile che non solo si vive nel Veneto, ma nell’intero Paese. Rucco chiaramente non può essere additato come la causa di questo processo, ma come l’ultimo degli effetti. Ci fosse stato l’esponente di un altro schieramento sarebbe stato lo stesso.

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