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Vaccini, «Sì al consenso informato: no alla manleva»

L'avvocato padovano protagonista della querelle sulla somministrazione del trattamento anti Covid-19 puntualizza la ragioni del suo intervento e loda «il pragmatismo» dell'Ulss 8 berica

Mentre tra Strasburgo e Bruxelles divampa la polemica (ne parla diffusamente Il Tempo di ieri) sui protocolli segreti tra Ue e case farmaceutiche in materia di forniture vaccinali anti coronavirus, sia per quanto riguarda la presenza di eventuali effetti avversi sia per quanto riguarda le condizioni economiche concordate tra l'Europa e «Big pharma», anche in Italia le contrapposizioni in materia di vaccini non mancano.

Da qualche settimana infatti su alcuni quotidiani e su alcune tv tiene banco la questione sollevata dall'avvocato padovano Giorgio Destro il quale su input di alcuni suoi assistiti ha sollevato «il problema dell'esonero di responsabilità» che in qualche modo sarebbe contenuto nei moduli che al momento della vaccinazione vengono presentati alla firma di chi, in primis operatori sanitari, in quel momento viene sottoposto al trattamento. Ai taccuini di Vicenzatoday.it Destro spiega le ragioni della sua preoccupazione e della sua iniziativa pubblica al riguardo ma distilla anche un giudizio lusinghiero sulla politica adottata in questo caso dall'Ulss 8 berica con sede a Vicenza che avrebbe tenuto una condotta più equilibrata rispetto ad altri enti, specie padovani.  

Dunque Destro può descrivere in breve che cos'è la vicenda del cosiddetto consenso informato e perché ha avuto tanto risalto anche sui media nazionali?
«Semplificando al massimo la questione quando la campagna vaccinale per contrastare il Sars-Cov-2 è entrata nel vivo, si parla di quella riservata agli operatori sanitari, a molti di questi è stato sottoposto per essere firmato un modulo relativo al cosiddetto consenso informato proposto dal produttore del vaccino stesso, ossia Pfizer, composto di ben  quattordici pagine».

E quindi?
«Il problema è che questo documento denominato semplicemente consenso, che poi è quello ufficiale predisposto dalla Pfizer, doveva intendersi, a mio avviso, in un vero e proprio esonero di responsabilità in caso di reazioni avverse, sia per il produttore che per il datore di lavoro, vuoi l'Ulss, vuoi la casa di cura di Abano Terme nel caso di specie: ed è per questo che diversi operatori sanitari si sono rivolti al mio studio per una consulenza».

A quel punto come sono andate le cose?
«Io oltre a spiegare ai miei assistiti, che peraltro sostengono tutti l'importanza di essere vaccinati, ho suggerito che potevano tranquillamente sottoporsi al trattamento senza tuttavia essere obbligati a firmare alcuna manleva. Poi ho denunciato la cosa pubblicamente e la vicenda è finita su molti media nazionali vista l'importanza nonché la delicatezza della questione».

Questa denuncia pubblica ha avuto in qualche modo un seguito?
«Direi proprio di sì. Per esempio la casa di cura di Abano Terme ha fatto sparire il lunghissimo modulo di quattordici pagine e lo ha sostituito con una più breve e trasparente dichiarazione di semplice accettazione della procedura farmacologica. Poi nel Veneto peraltro c'è chi si è comportato con molto più pragmatismo».

Può fare un nome?
«Presso l'Ulss 8 berica, evidentemente per non avere lamentele da parte dei medici e da parte di altri operatori, la dirigenza ha deciso di non sottoporre per la firma alcun modulo particolare ai dipendenti, procedendo con la campagna vaccinale in tutta tranquillità».

Senta avvocato però il fatto di dare notizia al soggetto cui viene somministrato un farmaco, nel qual caso un vaccino, mediante il consenso informato non è comunque una buona innovazione giunta nel nostro Paese grazie allo sforzo del legislatore?
«Intendiamoci: un conto è consegnare al paziente un foglio nel quale vengono indicati eventuali disturbi a seguito della prestazione farmacologica, un conto è pretendere dal paziente la sottoscrizione di tale foglio che si traduce, sotto il profilo legale, in una accettazione del rischio con la conseguenza che, in caso di patologie derivanti dalla vaccinazione, non sarà esperibile alcuna azione legale per chiedere il risarcimento del danno. Ad ogni buon conto la legge numero 219 del 22 dicembre 2017 è senza dubbio una conquista importante relativamente ai diritti degli utilizzatori dei farmaci: su questo non ci piove. Ma occorre attenzione».

Sarebbe a dire?
«Questa legge deve essere richiamata e applicata con scrupolo, coscienza e rigore perché, ricorrendo a una metafora, il diabolico spesso si cela nei dettagli».

Nei dettagli?
«Nei dettagli sì: una formuletta lì, una virgola là in qualche modulo birichino e la tutela per l'utente si trasforma in manleva. Ovviamente in caso di contenzioso qualunque casa farmaceutica si guarderà bene di prendersela col grande cattedratico, col professore della clinica universitaria. Queste persone sono al riparo».

Lei di chi si preoccupa?
«Io mi preoccupo dell'infermiere dell'ospedale o della clinica di provincia, dell'operatore socio-sanitario precario o semiprecario che ha poca forza contrattuale, del medico appena assunto in una piccola struttura, privata o pubblica che sia. Queste sono le persone le quali rischiano in un eventuale contenzioso giudiziario perché per costoro è più difficile far valere le proprie ragioni: non illudiamoci che la giustizia sia uguale per tutti. Purtroppo queste sottigliezze alcuni esperti di sanità, ma a digiuno di diritto, non l'hanno percepita. Qualcuno ci ha bollato come nemici del vaccino, come sempliciotti scesi dalle montagne del sapone con l'asino al basto e l'anello al naso: e invece i fatti di questi ultimi giorni ci hanno dato ancora una volta ragione».

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