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Monsignor Parolin al centro del caso Milone

Silurati dalla Santa sede due ex revisori dei conti vaticani chiedono dieci milioni alla Segreteria di Stato per ingiusto licenziamento: per di più nelle carte della causa viene descritta una gestione tossica della Curia romana rispetto alla quale il pontefice avrebbe perso parte della presa, mentre dentro le mura leonine già si parla «di redde rationem»

Lo schiavonense Pietro Parolin, nella sua veste di Segretario di Stato Vaticano è stato fatto oggetto di una richiesta di risarcimento di dieci milioni di euro dall'ex revisore generale dei conti della Santa Sede Libero Milone nonché dall'ex revisore generale aggiunto Ferruccio Panico. I due ritengono infatti ingiusto il siluramento patito proprio dalla Santa Sede per l'incarico precedentemente assunto tra il 2014 ed il 2015 L'indiscrezione sarebbe trapelata a margine di una udienza in sede penale per un procedimento diverso davanti alla giustizia vaticana in calendario oggi 14 novembre a Roma. Questo almeno è quanto riporta il blog di Maria Antonietta Calabrò, uno dei vaticanisti più noti del Belpaese. Firma di spicco dell'Huffington post e in passato del Corsera Calabrò è anche autrice di moltissimi approfondimenti di politica estera.

QUESTIONE CENTRALE
Il punto però, in una vicenda che è di per sé clamorosa solo per questo aspetto, è un altro. L'atto di citazione redatto dai legali di Milone e Panico (il professore Romano Vaccarella e l'avvocato Giovanni Merla) e depositato, a quanto trapela, il 19 ottobre 2022 presso le competenti autorità della Santa sede, contiene un vero e proprio j'accuse in ragione di come negli anni passati sarebbero state gestite le casse vaticane. L'argomento peraltro è già stato affrontato da alcuni magazine di settore come La nuova Bussola.

Un finanziamento da oltre mezzo milione che, come ricorda il Corsera, una nota struttura sanitaria vaticana romana, che beneficia di contributi dello Stato italiano, avrebbe elargito inopinatamente ad alcuni partiti del Belpaese; le continue vessazioni ad opera dei due ex revisori affinché non fosse loro consentito di andare a fare le pulci presso le centrali di spesa di alcune congregazioni; i pc dei due ex revisori messi sotto controllo da qualche sconosciuto per finalità inconfessabili; le interferenze con ambienti di primo piano della gendarmeria vaticana; i rapporti con uomini dei servizi; le inerzie della magistratura requirente vaticana pure a fronte delle gravi azioni criminali di cui sarebbe stata informata; i rapporti opachi con una banca svizzera da tempo sistemica anche per il panorama italiano: questi e molti altri sono i contenuti esplosivi che fungono da premessa o da corollario all'atto di citazione (che nell'ambito della giustizia vaticana è conosciuto come domanda giudiziale) redatto da Vaccarella e Merla.

UN QUARANTOTTO IN 48 PAGINE
Si tratta di 48 pagine «esplosive», che dovranno essere verificate alla prova dei fatti per vero (chi scrive le ha potute compulsare interamente), pagine che sul piano eminentemente politico descrivono una curia romana preda di appetiti e di manovre di ogni tipo rispetto alla quale il pontefice Jorge Bergoglio sembra avere smarrito, non è chiaro se in toto o in parte, la presa sulla barra del timone. Tanto che si parla di «soffocamento delle riforme di Papa Francesco» e di «riconquista bertoniana del Vaticano». In questo senso il riferimento al potere, in seno alle mura leonine, del cardinale Tarcisio Bertone, già a capo della segreteria di Stato con papa Benedetto XVI, non è nemmeno tanto velato.

IL REDDE RATIONEM
Ad ogni buon conto il fatto che Papa Francesco I abbia rimosso il segreto pontificio sugli atti usati da Milone la dice lunga sulla «drammaticità» della situazione: a partire da quanto il suo rapporto di fiducia nei confronti di monsignor Parolin potrebbe essersi deteriorato. Non è dato sapere se al cardinale di Schiavon fosse stato assegnato un compito preciso e non è dato sapere se il pontefice sia rimasto deluso per i risultati. Epperò senza il segreto pontificio infatti non ci saranno limiti alla ostensione di carte e circostanze che prima erano sottoposte a tutela assoluta. Questo vale, ed è valso anche in passato, per il procedimento intentato dai due ex revisori ma anche in alcuni altri procedimenti correlati. Il che, in qualche modo, potrebbe essere sinonimo della volontà di Bergoglio, assediato forse da pretoriani ormai divenuti asfissianti, di aprire i cassetti e ribaltare il tavolo. Lungo il Tevere infatti i boatos parlano di guerra senza quartiere, «di redde rationem».

I MEDIA, IL DOPPIO PESO E IL CARDINAL PIZARRO
E c'è un particolare però che a chi bazzica gli ambienti romani non è sfuggito. Quando uno degli svariati scandali che hanno recentemente spazzato il Vaticano deflagrò, si parla del caso Becciu-Marogna (Vicenzatoday.it ha toccato l'argomento nell'ottobre del 2021 e nel gennaio 2022), i media diedero molta enfasi alla vicenda.

In questi giorni invece le bordate clamorose distillate da Milone e Panico, tranne le dovute eccezioni, non sono mai entrate nei radar dei grandi media italiani. «Non c'è nulla di più relativo della nozione per cui il Vaticano sia una monarchia assoluta»: questo è uno degli adagi meno conosciuti che Giulio Andreotti, senatore della Repubblica morto nel 2013, attentissimo conoscitore della politica d'Oltretevere, era uso dispensare a chi aveva la fortuna di avvicinarlo a palazzo Madama. Un adagio che sembra il canovaccio di una pièce «dell'inarrivabile Corrado Guzzanti» quando interpreta il cardinale immaginario, cinico e «massonegginate», Florestano Pizarro.

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