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Giovedì, 18 Aprile 2024
Attualità Marano Vicentino

Strage di Bologna: «Difficile ottenere la verità, ma a breve leggeremo delle pagine storiche»

A parlare la nipote di Elisabetta Manea e di Roberto De Marchi, madre e figlio di Marano Vicentino morti nell’attentato

Quasi mezzo secolo di mezze verità. Martedì 2 agosto 2022 ricorre il 42esimo anniversario della strage di Bologna, l’attentato di matrice neofascista che portò alla morte di 85 persone, con più di 200 rimaste ferite. Per l’occasione, il Comune Marano Vicentino ha deciso di ricordare, attraverso una messa di suffragio, le due vittime maranesi dell’attentato, Elisabetta Manea e il figlio Roberto De Marchi, rispettivamente di 60 e 21 anni al momento del fatto. Quest’anno, però, l’anniversario ha un sapore particolare. Dopo anni di insabbiamenti e depistaggi, le vicende giudiziarie sembrano dirigersi verso un punto di svolta.

2 agosto 1980, ore 10:25

Quel maledetto sabato di agosto è ancora vivissimo nella memoria di chi, alla stazione di Bologna, ci ha lasciato uno o più cari. «Quel giorno ho perso mia nonna e mio zio – racconta Elena De Marchi, nipote di Roberto e di Elisabetta Manea -. Roberto era il più piccolo di quattro fratelli. Era diplomato in ragioneria e aveva trovato un impiego in banca. Era molto conosciuto a Marano, perché giocava a pallavolo nella Sottoriva, era una promessa dello sport, e inoltre era molto attivo nei gruppi parrocchiali. Mia nonna invece era una casalinga, che aveva perso il marito dieci anni prima. Veniva da un periodo di malattia, e così l’avevano convinta a trascorrere una vacanza in Puglia, dove si trovava per le ferie un fratello emigrato in Australia. Mio zio Roberto si era offerto di accompagnarla». Nel percorso verso il Sud Italia, il treno si era fermato nella stazione felsinea, per un cambio. «Al momento dell’esplosione mia nonna era in sala d’aspetto – prosegue -, mentre mio zio era sul primo binario. Io avevo quattro anni, e mi trovavo in vacanza a Jesolo. All’epoca non c’erano i cellulari, ed era anche difficile informarsi. Mio zio Mario apprese la notizia dalla radio, per poi accorrere a Bologna. Il momento più doloroso, per i miei zii, è stato senza dubbio quello del riconoscimento. Ricordo bene quei giorni, che per tutta la nostra famiglia sono stati un vero e proprio incubo, un evento dal quale è impossibile riprendersi».

Dopo anni di buio, uno spiraglio di luce

In questi 44 anni, un ruolo fondamentale l’hanno giocato i familiari delle vittime, che si sono riuniti immediatamente in un unico gruppo. «L’associazione è nata nell’81 – spiega Elena -, per portare avanti una serie di iniziative sia a livello di sensibilizzazione che a livello giudiziario. Ci siamo sentiti fin da subito molto uniti, anche perché è una cosa talmente grave che tutti noi facciamo fatica a parlarne. Quello che è stato ottenuto è stato raggiunto grazie alla perseveranza dell’associazione, in quanto l’obiettivo era ottenere la giustizia che dovevamo ai nostri cari. Le indagini sulla Strage di Bologna, come molti attentati del tempo, hanno subito diversi depistaggi e delle situazioni di reticenza. Ci sono state diverse occasioni in cui noi familiari ci siamo resi conto di quanto è difficile ottenere la verità». Dopo anni di insabbiamenti, però, in questi ultimi anni la vicenda giudiziaria ha finalmente ottenuto una svolta. «A gennaio del 2020 Gilberto Cavallini è stato condannato in primo grado come quarto esecutore – racconta Elena -. Quest’anno invece sono stati condannati, sempre in primo grado, Paolo Bellini, Domenico Cadracchia e Piergiorgio Segatel (ex generale dell’Arma ndr). È una sentenza storica, perché ha fatto emergere i legami degli attentatori con lo stato, come noi familiari delle vittime sostenevamo da tempo. I finanziatori, i mandanti e anche gli stessi esecutori facevano parte di una vera e propria rete. Sono emersi, inoltre, i legami con la P2 e con il Banco Ambrosiano. Quando verranno depositate le carte, credo a breve, si potranno leggere delle pagine storiche per l’Italia».


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