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Paolo Rossi fa gli onori al suo stadio

Nel giorno del 121° compleanno della società, l’Amministrazione Comunale ha mantenuto la promessa di ultimare il Largo dedicato al grande campione

Adesso e per sempre è lì, con le braccia alzate. Alle spalle ha il suo “Romeo Menti” e tiene lo sguardo fisso verso la Basilica e la sua Vicenza.

Nel giorno del 121° compleanno della società, l’Amministrazione Comunale ha mantenuto la promessa di ultimare il Largo dedicato al grande campione, scoprendo la statua in bronzo che ricorderà per sempre Paolo Rossi, amatissimo figlio adottivo. Il monumento, ideato dall’artista napoletano Domenico Sepe e realizzato con una fusione della storica fonderia Guastini di Gambellara, ritrae il grande campione esultante dopo uno dei suoi tanti gol e con addosso non la maglia azzurra della nazionale (come inizialmente ipotizzato) ma la casacca con la “R” del suo Lane.

A festeggiare con la moglie Federica e col figlio Giorgio una gran folla, tra cui spiccava il Sindaco della Città Francesco Rucco, la famiglia di GB Fabbri,  e molti rappresentanti del Comune, sia di maggioranza che di minoranza. A fare gli onori di casa anche il presidente del sodalizio Stefano Rosso e il DG Rinaldo Sagramola. Al microfono, fra i tanti ricordi dedicati a Pablito, particolarmente toccanti sono stati quelli di quattro Moschettieri del Real Vicenza: Beppe Lelj, Giorgio Carrera, Massimo Briaschi e Vinicio Verza.

E al momento giusto dal pubblico dei tifosi si è alzato un coro che nessuno ha dimenticato: “E quando Paolo, segnerà, grideremo tutti in coro forza Vicenza e Rossi gol!”. Fra le mille parole spese per il grande bomber, voglio citare almeno un ricordo, che ha condiviso con me Milo Cortiana, indimenticabile fotografo degli anni biancorossi più belli: “Avevo invitato Paolo qui a Vicenza, in occasione della presentazione del mio libro L’Urlo del Menti. Lui non si fece pregare ed arrivò, proprio qui davanti allo stadio, con il suo fuoristrada. Scese, mi salutò e poi restò per lunghi secondi a guardare il tempio che aveva ospitato i suoi primi trionfi, come se lo vedesse per la prima volta.

“E’ incredibile. Qui il tempo si è fermato, non ò cambiato niente. Guarda il muro, guarda l’arco, guarda le biglietterie… Mi pare di non essermene mai andato.” Eppure era il 2015 e lui aveva già in bacheca tutti i suoi personali successi: le maglie azzurre e il Mundial di Spagna, il pallone d’Oro, la carriera alla Juve e al Milan, il riconoscimento di Pelè che lo colloca tra i primi 125 giocatori della storia del calcio. Ma Vicenza era Vicenza. Me lo ricorda la sua firma, apposta sulla sciarpa che indosso solo in occasione di eventi eccezionali. La vergò al ristorante Da Biasio, sui Colli Berici tra le fettuccine ai porcini e la tacchinella ripiena sorridendo a tutti, come se fosse uno di noi. Perché lo era davvero, uno di noi.

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