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Sorveglianza epidemiologica KO? «La Regione faccia chiarezza»

Dopo le «clamorose» rivelazioni di Presa diretta sul ridotto monitoraggio nella gestione della pandemia da Covid-19 da parte delle regioni e da parte del Ministero della salute, il sindacato Cub chiede lumi a palazzo Balbi: ed è caccia al funzionario che partecipò alla riunione del gennaio 2020 finita nel mirino dell'inchiesta di Rai tre

«Siamo basiti da quanto riportato durante la puntata di ieri 27 settembre di Presa diretta. Il servizio andato in onda su Rai tre ha dato conto in modo puntuale di come Ministero della salute e tutte le regioni italiane, in combutta tra loro, con una circolare datata 27 gennaio 2020 abbiano volontariamente e deliberatamente abbassato gli standard della sorveglianza epidemiologica perché» proprio le regioni si sarebbero dette «impreparate». Comincia così una dura nota diramata oggi 28 settembre dalla vicentina Maria Teresa Turetta, segretaria regionale veneta del sindacato di base Cub.

VERBALI EVAPORATI
Turetta nel suo dispaccio però va ben oltre e accusa: «Questo si apprende dalla agghiacciante testimonianza resa ai microfoni della Rai dall'allora direttore della Prevenzione presso il ministero della salute ossia Claudio D'Amario. Il quale riferisce di una drammatica riunione che si sarebbe tenuta il 24 e 25 gennaio dell'anno passato con i delegati ministeriali e con tutti i rappresentanti degli enti regionali italiani. Una riunione della quale sarebbero conservati dei verbali dei quali però, rivela ancora Presa diretta non ci sarebbe più traccia».

IL MONITO A ZAIA
Appresso il sindacato precisa ancor più il suo pensiero lanciando un monito all'esecutivo veneto capitanato dal legista Luca Zaia: «Ora stante la assoluta gravità di quanto emerso corre l'obbligo per la giunta regionale del Veneto e per i vertici della struttura amministrativa di palazzo Balbi fare chiarezza immediata sui contenuti e sulla natura  di quegli incontri nonché sulla natura esatta delle richieste indirizzate, in primis da palazzo Balbi, al Ministero della salute. Occorre altresì che la Regione faccia chiarezza sui verbali, eventualmente in suo possesso. E qualora ne sia sprovvista deve essere giustificata tale abnorme manchevolezza». 

SORVEGLIANZA INDEBOLITA
Avere «scombussolato» e quindi indebolito «la sorveglianza durante le prime fasi dell'epidemia è una accusa talmente grave - argomenta in chiusura Turetta - che non ci sono aggettivi per definirla dopo i morti e i feriti da Covid-19 patiti fra la popolazione e tra i lavoratori, in primis quelli del comparto sanitario». All fin fine secondo la segretaria quello descritto dalla inchiesta della Rai firmata da Francesca Nava può essere considerato «uno scenario agghiacciante rispetto al quale la Regione Veneto deve fare chiarezza all'istante». In ultimo, metaforicamente parlando, la Cub apre la caccia perché venga reso noto il nome del delegato e dei delegati che per conto della Regione Veneto hanno «partecipato... alla riunione del 24 e 25 gennaio». Si tratta di parole che pesano come pietre non solo perché ai taccuini di Vicenzatoday.it Turetta definisce «clamorose» le rivelazioni della Rai, ma anche perché queste ultime fanno il paio con le rivelazioni di un'altra trasmissione della Tv di Stato (vale a dire Report) che nei mesi passati aveva aperto due squarci: uno sulle carenze del piano pandemico nazionale ed uno sulle zone grigio della gestione della pandemia da parte del sistema sanitario regionale veneto. Da mesi per di più in diversi ambienti sindacali si sostiene che la minimizzazione della emergenza, almeno sulla eprime battute, sia riconducibile anche alle «indebite pressioni delle industrie e degli stakeholder economici affinché non si comprimesse il comparto produttivo. Una scelta Lombardia e per certi versi il Veneto hanno pagato «a caro prezzo anche in termini di vite umane». 

STAFFILATE BERGAMASCHE
Tuttavia le staffilate al sistema sanitario nazionale e a quello regionale, dopo la messa in onda della puntata, arrivano anche dalla Lombardia, territorio che ha patito duramente la prima ondata. Consuelo Locati distilla in tal senso una riflessione molto amara sulla commissione bicamerale che è stata chiamata a far luce proprio sulla gestione della pandemia. La donna infatti è l'avvocato che nella Bergamasca e non solo tutela le parti offese nel procedimento penale portato avanti «dalla magistratura della città dei Mille»  rispetto alla numerose criticità emerse proprio all'indomani dello scoppio della pandemia.

«Ora la commissione d'inchiesta farsa, o meglio la commissione che i parlamentari bergamaschi, bresciani e lombardi hanno tentato di rendere tale - attacca Locati - sarà costretta ad indagare» su quanto accaduto in Italia all'inizio della pandemia e non solo. Secondo la Locati, che in mattinata aveva diramato un dispaccio molto puntuto al riguardo,  il servizio «di Presa diretta» quando approfondisce il contesto in cui al ministero si sarebbe decisa la modifica della definizione di «caso sospetto covid» addirittura «per mancanza di risorse» da parte delle regioni deve far riflettere su quanto accaduto nel Belpaese in quel primo scorcio di 2020.

Una riflessione che va fatta, argomenta ancora la Locati, soprattutto alla luce della considerazione che le rivelazioni di Presa diretta stanno soprattutto nelle parole dell'ex direttore generale del settore Prevenzione del dicastero della Salute, ossia D'Amario. Il quale infatti ha confermato il tutto ai microfoni della Tv di Stato. La scelta cucinata a fine gennaio 2020 tra Regioni e ministero, spiega ancora la Locati, avrebbe infatti compromesso «la sorveglianza epidemiologica» facendo sì che il Covid-19 «si diffondesse incontrollato per almeno un mese», come peraltro le parti offese vanno denunciando da settimane e settimane.

LEGGI IL RESOCONTO DELL'INCHIESTA DI PRESA DIRETTA

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