Il Sigillo - 9 - Le mani dei frati
Non basta tutto il coraggio di un reporter, l'arroganza da giovane uomo ambizioso: è arrivato il momento in cui anche Ruiz ha paura. L'incontro con "Hermes" e la rivelazione sul delitto Ludwig a Monte Berico
Il sigillo: capitoli precedenti
Sì. Quando non senti più le dita dei piedi dal gelo, quando le uniche luci che vedi intorno a te sono dei lugubri lampioni che illuminano la strada, quando le sigarette iniziano a diradarsi nel pacchetto schiacciato e stropicciato, quando sai di aspettare qualcuno che non conosci e che potrebbe essere l’ultima cosa che vedi o senti, si. In quel momento ti chiedi che cazzo stai facendo lì.
Ti domandi ripetutamente contro che muro hai sbattuto la testa per riuscire a fare una sequenza di stupidaggini così grandi da ritrovarti in una via che non vede più anima viva dopo le otto di sera. E lo fai guardando l’orologio in continuazione, aspettando quel minuto a mezzanotte scritto sul misterioso biglietto fatto scivolare sotto la porta di casa. Ruiz non ha dubbi, il punto esatto dell’incontro deve essere per forza davanti alla lapide che ricorda i due frati uccisi da Ludwig. E lui si posiziona dove serve, dove la luce non arriva. Dove può osservare i coni di luci dei lampioni, che corrono lungo la via, senza essere individuato. Cerca di seguire ogni accortezza anche nel fumare. Tiene la sigaretta verso l’interno della mano per evitare che diventi essa stessa un segnalatore ad ogni boccata.
Sì, ha paura Ruiz. Lo sente nelle ossa. E questo gli piace. Lo aiuta a sopportare i piedi ghiacciati, l’umidità che si insinua tra i suoi vestiti. La paura ti tiene sveglio, allertato nei sensi. Ogni rumore è un sibilo e ogni sibilo è calcolo nella tua mente. “Sono le 23.56 e qualcosa deve succedere” pensa Ruiz mentre scuote dal giubbetto il nevischio che inizia a scendere. “Deve arrivare qualcuno con una macchina o una moto, deve cazzo. Sono ore che aspetto, cazzo”
E qualcosa succede. Dal fondo della via sente arrivare nettamente un’auto a bassa velocità, come se non conoscesse bene la strada e stesse cercando qualcosa. Ruiz indietreggia verso l’angolo di cemento che gli copre le spalle e lo nasconde alla strada. È un movimento naturale, come naturale è l’abbassare il ritmo del respiro per cercare la giusta calma. Deve rendersi visibile a chi guida la macchina. Deve farlo, se vuole che tutto abbia un senso. Deve farlo, andando oltre la paura di fare la fine di Corsello.
Ci sono cinque passi dal suo cono d’ombra “sicuro” al ciglio della strada semilluminato. La macchina è sempre più vicina. È una “familiare”, lo nota dal profilo delle aste portapacchi. Non sembra rallentare o accelerare. Ha l’andatura costante. Ormai chi guida dovrebbe averlo visto. Ruiz è rigido. Fermo, inespressivo. Ha solo il battito del cuore che certifica che è vivo. Ogni suo muscolo è tirato, come se questo potesse fermare uno o più proiettili. È involontario il pensiero. Ma è questo. La macchina però non rallenta e passa. Non cambia andatura. Intravede solo i contorni di due persone e il viso di un bambino che lo guarda dal finestrino posteriore.
“Non è chi aspetto, sono stato fregato. Preso per il culo da qualcuno che ha voluto farmi prendere una broncopolmonite. Ma vaffanculo” - ringhia Ruiz mentre segue con lo sguardo la macchina allontanarsi.
Signor Ruiz, buonasera. Siamo entrambi in perfetto orario
La frase arriva allo stomaco di Ruiz come un pugno. Il sangue si gela e sente il terrore partire dalla nuca e scendere lungo la schiena. Non è una voce. È un sibilo. Una voce che sembra una lama che si insinua sottopelle. Il reporter gira la testa velocemente e si ferma proprio sotto il lampione che illumina con una luce bianca la lapide dei frati. Si vede solo la sagoma dell’uomo. È controluce e ogni suo lineamento è impossibile da decifrare.
Rimanga lì Ruiz, non si avvicini. L’importante è che mi senta. Non è certo il mio volto che può interessarla. E vederlo procura sonni eterni.
Ok…ma perché qui, perché a quest’ora? Chi è lei?
Chi sono non le interessa. Le deve interessare ciò che le dirò sul Sigillo. È questo quello che cerca no? Sono gli omicidi di Campo Marzo e di Corsello quello che le interessa no?
Ruiz annuisce, sa che l’uomo può vederlo. E mentre ascolta cerca di definire l’età, la provenienza, il suo posizionamento sociale. Cerca di vedere il tipo di scarpa che porta, l’inflessione dialettale che ha, se muove le mani tanto o poco. Tutti piccoli particolari che possano dare qualche certezza a quell’incontro.
Lei è una persona intelligente Ruiz, lo sappiamo. Lei ha capito che il capo della Squadra Mobile ha un ruolo in questo “gioco sbagliato”. Lei ha visto “Il Sigillo”.
Beh, chiamare “gioco sbagliato” tre omicidi, mi sembra riduttivo. Poi lei parla usando il “voi”. Chi siete “voi”. E come sa che ho visto il tatuaggio di Brizzi?
Non mi faccia domande, suvvia. Non sia sciocco. Non l’ho chiamata per fare domande ma casomai per avere da me alcuni suggerimenti, alcune risposte. Non tutte, sicuramente. Ma quanto basta per poter dormire soddisfatto.
Perché tanta grazia e poi come so che “voi” siete credibili. Che riscontri posso avere?
Ogni cosa a suo tempo, ogni cosa a suo tempo…Vedrà che troverà facilmente il modo di risolvere questo enigma. Le dico solo che se seguirà Brizzi andrà a “dama”. Si concentri su di lui e sui suoi uomini. Sempre che non sia lui a farlo con lei. In questo caso si fidi solo del suo istinto e della sua fortuna. Lo sappiamo che ne ha parecchia.
Non mi dice niente di diverso da ciò che avevo già pensato. Si ricordi che io non devo fare il lavoro della polizia. Io devo scrivere.
Lei può fare ciò che non possono altri. Lei farà parte di questo gioco, lei fa già parte di questo gioco. Non può tirarsi indietro adesso. E dovrà farlo da solo.
Ruiz rimane perplesso e in silenzio guardando quella sagoma. Ha il bavero del cappotto alzato e le dita…si quelle dita che continuano nervosamente a ticchettare con il pollice e l’indice. È nervosismo o un tic? Deve avere 65/70 anni circa. È in forma e non ha particolari cadenze dialettali. Potrebbe essere veneto come milanese o romano. Ma non lo capirò mai se continua a parlare come se stesse sussurrando
Mi dia qualche indizio Mister x o come vuole che la chiami. Perché lei ha un nome no?
Mi chiami Hermes.
Mm…il dio che protegge i viaggiatori…ma anche i truffatori e i ladri…
Decida lei.
E il Sigillo? Cosa ne sa lei?
Si concentri su Brizzi. E ascolti bene: un cavallo ha mai girato la testa per guardare indietro?
Ok, ok – risponde Ruiz quasi spazientito – che commedia sta inscenando? Mi dica perché dovrei ascoltarla o mi dica almeno perché ci siamo trovati qui.
Perché qui iniziò qualcosa anni fa, qualcosa che venne scambiato per un delirio di due “pierrot” invasati. Non era così. Non è mai stato così. Ciò che sembra quasi mai lo è. Perché credermi? Si informi sulle mani di quei due frati. Sulla mano destra di entrambe. Non fu mai detto dalla polizia e non fu mai scritto da nessuno.
È in quel momento che la stessa auto familiare torna con la medesima andatura moderata di qualche minuto prima. I fari adesso sono alti e quasi accecano Ruiz, che socchiude gli occhi per un secondo. Quanto basta perché si ritrovi solo in quella strada. Hermes è andato via come è arrivato. Senza un rumore, dal nulla.
Ruiz tira fuori le sigarette e ne accende una, poi prende dalla tasca del giubbetto un registratore e preme stop. Ora può finalmente rilassare ogni parte del suo corpo. E anche la neve che scende sembra meno sporca del solito. È quasi Natale. E a Natale non si muore ammazzati, quasi mai