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Covid-19, piazza vicentina e magagne nazionali

In campo marzo va in scena un presidio dei No Green pass berici cui partecipano in «1500», ma a margine della protesta si aprono retroscena inquietanti sulla gestione della pandemia da parte delle autorità centrali e regionali. Frattanto spunta il documento bollente dal quale si evince il nome della dirigente di palazzo Balbi che partecipò ad una controversa riunione romana del 2020

In una giornata soleggiata e molto poco autunnale una piccola folla di persone si è riunita ieri 23 ottobre a Vicenza in Campo marzo per protestare contro il Green pass. Alle 15 le persone erano due trecento. Poi però l'esedra vicino alla stazione di Vicenza si è andata via via riempendo fino a superare abbondantemente il migliaio di persone. Alle 15.30, un attimo prima che gli oratori prendessero la parola manifestanti e semplici curiosi avevano aumentato il loro numero «fino a 1500».

IL J'ACCUSE DELLA GIORNALISTA
Durante il sit-in l'intervento più seguito è stato quello della giornalista Angela Camuso (intervento filmato dalle telecamere di Vicenzatoday.it) che al di là della stretta sulle libertà personali legate all Green pass, considerato pericoloso e incoerente, ha puntato l'indice sulle carenze che in tutta Italia hanno fatto da sfondo alla propagazione della epidemia: sia le Regioni che gli ultimi due governi che si sono succeduti a palazzo Chigi sono stati quindi messi sulla graticola.

RIPERCUSSIONI GIUDIZIARIE E NON SOLO
Si tratta di argomenti caldissimi anche in ragione delle continue rivelazioni dei media. Basti pensare ad un lungo speciale di Presa diretta andato in onda ieri su Rai tre. Durante la puntata è stata data voce, tra gli altri, ad Andrea Crisanti. Il noto infettivologo, direttore della clinica universitaria dell'ospedale patavino, è stato intervistato nella sua veste di consulente scientifico della procura di Bergamo. Che sta indagando sui morti della prima ondata della pandemia da Covid-19. Le parole di Crisanti sono state di una durezza inaudita e non hanno messo nel mirino solo la sanità lombarda ma pure l'intera gestione della pandemia da parte delle autorità nazionali.

Si tratta di un passaggio chiave della inchiesta bergamasca perché quest'ultimo ha una serie di implicazioni con le scelte operate all'inizio del 2020 (quando l'epidemia si sarebbe potuta ben contenere) da tutte le amministrazioni centrali e regionali, veneta inclusa. A finire nel mirino di Presa diretta (che aveva mostrato alcuni frammenti del foglio presenze) era stata una riunione del 25 gennaio presso il Ministero della Sanità alla quale avrebbero preso parte rappresentanti del governo, dell'Istituto superiore di Sanità in una con i massimi dirigenti del settore sanità delle singole regioni e delle province autonome. Quella riunione chiave di cui incredibilmente non ci sarebbero verbali (il condizionale è d'obbligo perché al riguardo il mistero è fittissimo) durante la quale dalle regioni sarebbero giunte pressioni sui partecipanti affinché fosse chiesto allo stesso governo di abbassare la sorveglianza sulla epidemia dilagante ha suscitato le attenzioni di due consiglieri regionali veneti di minoranza: ossia i democratici Anna Maria Bigon e Andrea Zanoni. I quali  avevano chiesto lumi alla giunta veneta capitanata dal governatore leghista Luca Zaia affinché si attivasse per sapere quale fosse il dirigente di palazzo Balbi che avesse partecipato a quel «controverso» incontro e che cosa avesse detto o chiesto durante quei drammatici momenti. Proprio di quella riunione riservata Vicenzatoday.it in esclusiva è in grado di mostrare la copia dell'intero foglio presenze.

LA DIRETTRICE VENETA E IL VICEMINISTRO
In quelle carte, tra gli altri spicca il nome della dottoressa Francesca Russo, dirigente del settore prevenzione della Regione Veneto. E non manca, in rappresentanza dell'allora governo retto da Giuseppe Conte, il nome di Pierpaolo Sileri, viceministro alla salute dell'epoca. Al momento non ci sono elementi per escludere che anche quest'ultimo possa aver esercitato pressioni affinché il governo allentasse la sorveglianza sul Covid-19. Sorveglianza stretta che veniva vista come un ostacolo alle attività economiche. Sullo sfondo poi rimane aperta la questione della indagine penale che avrebbe riguardato proprio il professor Crisanti, accusato da Aziendazero di avere gettato in cattiva luce l'operato della Regione Veneto in relazione alle reiterate critiche del professore patavino appunto verso i test rapidi. Oltre agli echi nazionali della vicenda, i media veneti avevano parlato a più riprese (con tanto di coda polemica) di una azione penale per diffamazione contro Crisanti e di fascicolo aperto a suo carico. In realtà quello giunto sul tavolo dei magistrati sarebbe solo un esposto, nel quale mancando la formula di rito per la querela per diffamazione, altro non sarebbe stato che l'innesco pensato da qualcuno per una «character assasination» nei confronti dell'infettivologo dell'Università di Padova. Il quale in forza del clamore suscitato da una campagna di stampa originata da un procedimento inconsistente avrebbe comunque ricevuto un messaggio trasversale pensato per intimidirlo e sviare l'attenzione della opinione pubblica su una sanità veneta finita invece nell'occhio del ciclone. Questa almeno è la voce che circola da settimane negli ambienti accademici della città del Santo. 

ASCOLTA LA SINTESI DELL'INTERVENTO DI CAMUSO
ASCOLTA L'INTERVISTA A GIORGIO DESTRO

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