rotate-mobile
Attualità

Pfas, le carte bollenti: rischio grave anche per i trissinesi

Mentre nel capoluogo berico va avanti il processo per l'affaire Miteni che coinvolge anche la compagine societaria che controllava la fabbrica oggi fallita, Vicenzatoday.it svela una lettera riservata da cui si evince che l'amministrazione del piccolo centro lessino ha chiesto uno screening di massa sulla popolazione per valutare l'effetto di una differente contaminazione da derivati del fluoro attribuita ai laboratori insediati negli anni '60 presso le ex scuderie Marzotto

Il processo Miteni entra pian piano nel vivo. Durante l'udienza tenuta ieri 25 gennaio al tribunale del capoluogo berico si è appreso che, per il maxi inquinamento da derivati del fluoro (i Pfas o perfluoroalchilici), il quale ha colpito tutto il Veneto centrale, inquinamento addebitato alla Miteni di Trissino oggi fallita, quest'ultima e la controllante Icig saranno chiamate a pagare i danni in caso di condanna. Ma a rendere inquitenate la situazione in valle dell'Agno non ci sono solo i cascami della vicenda Miteni. In una missiva esplosiva inviata dal Comune di Trissino alla Regione Veneto si chiede uno screening medico anche sulla popolazione del piccolo centro dell'Ovest vicentino. Stavolta a preoccupare è l'immissione nell'ambiente, aria e acqua in primis, di derivati del fluoro addebitabili alla progenitrice della Miteni ossia la Rimar, la quale avrebbe contaminato una porzione considerevole del territorio municipale della cittadina lessina.

«TRENTA LE PARTI CIVILI AMMESSE»
Più nel dettaglio sono trenta «le parti civili ammesse... al procedimento cosiddetto Pfas bis a carico di otto imputati accusati a vario titolo dei reati ambientali avvenuti tra il 2013 e il 2017. Tra queste ci sono anche Acque del Chiampo, Acquevenete e Viacqua, mentre Acque Veronesi valuterà la costituzione entro l'avvio dell'udienza dibattimentale» questo è quanto si apprende in una nota congiunta diramata ieri giustappunto dai quattro gestori del ciclo idrico che sono da tempo intervenuti nella querelle segnalando i problemi generati dall'affaire Miteni anzitutto per l'approvvigionamento di acqua potabile. Stallo che gli stessi gestori stanno superando a caro prezzo realizzando una nuova rete di fornitura da fonti non contaminate. Ad ogni modo gli otto imputati, si legge ancora nella nota, sono accusati di aver provocato un deterioramento significativo e misurabile nelle acque sotterranee al sito Miteni, e di aver immesso nelle falde il rifiuto pericoloso contenente GenX e C6o4 due componenti della famiglia Pfas di più recente produzione.

REATO DI BANCAROTTA
Per quanto riguarda il reato di bancarotta, rimarcano i gestori, l'accusa è di aver aggravato il dissesto della società di Trissino, con perdite per quasi 15 milioni di euro tra 2010 e 2017. Alla Miteni si contesta di non essersi dotata di un modello organizzativo «idoneo a prevenire» questi reati, ai sensi del decreto legge 231 del 2001. Nella udienza di oggi è stata citata come responsabile civile la ditta International Chemical Investors Group (Icig), alla quale verrà notificato l'atto in tempi brevi.

RIMAR, LA PROGENITRICE
Se questa è la situazione per quanto riguarda il deterioramento della qualità dell'acqua addebitato alla Miteni, rimanendo a Trissino, come stanno andando le cose per la contaminazione che le autorità attribuiscono alla «progenitrice» della Miteni ossia alla Rimar della famiglia Marzotto? Il caso, era scoppiato nel 2018 quando fu proprio Vicenzatoday.it a rivelare i dati allarmanti riscontrati da Arpav. La cosa scatenò a più riprese le ire dei comitati tanto che alla fine di ottobre questi ultimi tornarono all'attacco chiedendo al Comune di Trissino di dire la sua in maniera chiara e inequivocabile.

In quella circostanza oltre alle bordate del coordinamento ambientalista Covepa si registrò anche la presa di posizione, nettamente più cauta, della giunta comunale. La quale per bocca dell'assessore all'ecologia Giampietro Ramina spiegò come la situazione fosse sotto controllo giacché l'amministrazione comunale, ancora mesi fa, aveva avvertito «tutti i proprietari di pozzi privati» interessati dal relativo «divieto di utilizzo» a causa della contaminazione da Pfas mentre nei rapporti di prova agli atti del Comune sarebbero presenti «tutti i riferimenti» per correlare le misurazioni di Arpav con i siti in cui sono state effettuate.

E ancora stando a Ramina la proprietà delle ex scuderie, ossia la famiglia Marzotto, confrontatasi con Comune e Arpav, avrebbe dato incarico di eseguire una indagine ambientale per analizzare il fenomeno. In collaborazione con Arpav sarebbero poi stati installati tre tubi di misurazione, a valle e uno a monte. Sarebbe stato anche prelevato del materiale riferibile ad una vasca di decantazione «della vecchia Rimar»: il tutto a fronte del fatto che in quella porzione del comune le utenze sono allacciate all'acquedotto comunale solo dagli anni '80.

UNA VERITÀ SCOMODA
Ma la storia è tutta qui? A Trissino si possono dormire sonni tranquilli o c'è di che essere davvero preoccupati? E perché un consigliere regionale in forza ai Verdi (si tratta della leonicena Cristina Guarda) non più tardi di giovedì 21 gennaio avrebbe fatto il diavolo a quattro e avrebbe indirizzato strali su strali alla giunta regionale affinché i trissinesi, come il resto dei residenti del Veneto, centrale siano sottoposti ad uno screening medico (in gergo biomonitoraggio umano)?

LE RASSICURAZIONI DI FACCIO PRESSO LA ECOMAFIE
Una prima chiave di lettura dell'affaire Trissino può essere ricercata nelle parole del leghista Davide Faccio, sindaco del piccolo comune ubicato sulle sponde dell'Agno. Ai microfoni della Commissione bicamerale ecomafie, come si legge dal verbale in pagina 15 della seduta del 26 settembre 2017, incalzato dal deputato Alberto Zolezzi del M5S, il primo cittadino si disse relativamente preoccupato circa la presenza di Pfas sul suolo comunale e escluse la necessità di uno screening: «Guardi, dal discorso del biomonitoraggio noi siamo stati esclusi. Probabilmente lei non sa o non è andato a guardarsi i risultati dei pozzi di Trissino, che sono sotto soglia anche ora, anche oggi: siamo sotto i 90 nanogrammi. Pescando a monte, come ha detto lei, fortunatamente siamo esclusi da quest'inquinamento. Non avendo bevuto acqua, non vedevo tale necessità».

BIOMONITORAGGIO E «ALLARMISMO»
In quella sede poi Faccio si espresse in termini anche squisitamente politici spiegando come fosse poco opportuno portare inquietudine tra i residenti: «Parliamoci chiaro: un biomonitoraggio presso la popolazione, comunque crea un po' di allarmismo. Forti del fatto che non abbiamo mai bevuto quest'acqua, abbiamo ritenuto... e ritengo tuttora... valido il concetto che non dobbiamo essere sottoposti a questo, per cui non siamo sottoposti a nessun tipo di biomonitoraggio».

LE PRESSIONI DELLA GALASSIA ECOLOGISTA
Tuttavia qualcosa nel frattempo è cambiato, probabilmente anche alla luce delle critiche di alcuni politici (ultima delle quali una puntutissima dello stesso Zolezzi). Al tutto poi vanno aggiunte le pressioni pressoché costanti del mondo ambientalista.

UNA MISSIVA SCOTTANTE: «CONCENTRAZIONI ELEVATISSIME»
Sta di fatto che in una missiva scottante, reperibile al protocollo della giunta regionale al numero 424209 in data 6 ottobre 2020, il Comune di Trissino invia alla Direzione prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria capitanata dalla dottoressa Francesca Russo, al direttore generale dell'Ulss 8 berica Giovanni Pavesi nonché a Giampaolo Stopazzolo «Responsabile scientifico screening Pfas primo e secondo livello Distretto est e Ovest» presso l'Ulss berica una richiesta senza precedenti, almeno per quegli uffici.

Nella quale si precisa nero su bianco che a Trissino sono state riscontrate «concentrazioni elevatissime di sostanze perfluoroalchiliche» ossia i Pfas e che «per anni la popolazione trissinese... ha utilizzato» in diversi luoghi del territorio tra cui «l'asilo Bortolo Molon... acqua proveniente da fontane ubicate in quella zona e contaminata da Pfas...». Si tratta di parole che pesano come pietre anche in considerazione del fatto che «l'insediamento ex Rimar risale agli anni '60 e che solo alla fine del 1980 è stato realizzato il civico acquedotto». Ed è proprio in ragione di questi fattori che il primo cittadino chiede sia avviata una campagna di screening. 

RIZZI, IL SINDACO CORAGGIOSO: LA DENUNCIA DEL 1965
E c'è di più. Perché se si leggono attentamente gli allegati trasmessi da Faccio a palazzo Balbi si potrà notare come il problema della contaminazione su vasta scala presente attorno alla cosiddetta Trissino alta era stato sollevato tra il giugno e il luglio del 1965 dall'allora primo cittadino Luciano Rizzi. Il quale senza timore reverenziale per il gruppo Rimar (all'epoca i Marzotto erano una delle casate industriali più potenti d'Italia e anche oggi la famiglia rimane molto influente) mise nero su bianco il problema della contaminazione, con un riferimento anche alla matrice aria, delle aree a ridosso delle ex scuderie della villa Marzotto, sede un tempo di Rimar, informando peraltro le autorità competenti affinché valutassero eventuali rischi per la popolazione a causa dell'inquinamento anche nelle proprietà circostanti ovvero «Buffa, Perin, Pieropan, Contessa Trissino... Bauce» nonché a ridosso «dell'asilo infantile».

SCENARI E RETROSCENA
A fronte di queste evidenze bisognerà capire, tra le altre, se le indagini ambientali chieste di recente dal Comune di Trissino alla famiglia Marzotto proprio in relazione allo stato dei terreni a ridosso degli ex laboratori Rimar siano state tempestive, come sostiene l'assessore Ramina, oppure no. «La questione è delicatissima - perché come spiega un parlamentare del Pd che chiede l'anonimato - le affinità della famiglia Marzotto a certi ambienti democratici, leghisti e anche ad ambienti vicini ai Cinque stelle politicamente non facilita la denuncia di una situazione che probabilmente si trascina da anni».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Pfas, le carte bollenti: rischio grave anche per i trissinesi

VicenzaToday è in caricamento