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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Miteni, l'inquinamento causato dal «sottosuolo»

Durante il maxi processo ambientale in corso nella città del Palladio a mettere in croce la tenuta degli impianti della fabbrica trissinese è stata la testimonianza di uno degli investigatori dei carabinieri

L'udienza di ieri 29 aprile al tribunale di Vicenza nell'ambito del processo per l'inquinamento da derivati del fluoro attribuito alla Miteni di Trissino è entrato in una fase cruciale. Durante il dibattimento sono stati sentiti come testi della pubblica accusa Domenico Mantoan, già direttore generale della sanità della Regione Veneto nonché il dottor Manuel Tagliaferri, ovvero il maresciallo dei Carabinieri del ambientali del Noe di Treviso sulle cui spalle è gravato gran parte del peso operativo delle indagini preliminari. Le quali oltre alla ditta hanno coinvolto quindici ex manager di Miteni o di società collegate a quest'ultima.

IL SUPERDIRIGENTE A DISAGIO
Al contrario della baldanza abitualmente sfoderata da Mantoan, l'ex superdirigente della sanità veneta ieri in aula è apparso impacciato, quasi impaurito: sguardo torvo, sintassi  stentata, esposizione claudicante e memoria non sempre reattiva nelle risposte sono stati una sorta di costante. Mantoan nel dettaglio è stato sentito dal pubblico ministero Barbara De Munari che col collega Hans Blattner ha coordinato le indagini preliminari poi sfociate a dibattimento. Il funzionario ha in buona sostanza riepilogato i passi compiuti dalla Regione Veneto dopo la deflagrazione dell'affaire Pfas tra il 2013 e il 2014. Si tratta di un caso di maxi contaminazione di derivati del fluoro che attribuito alla trissinese Miteni ha interessato nel Veneto centrale Veronese, Vicentino e Padovano.

Epperò, torchiato dall'avvocato Salvatore Scuto (difensore di uno degli imputati ossia il manager olandese Alexander Nicolaas Smit) quando a Mantoan è stato chiesto di spiegare che fine avesse fatto il monitoraggio sulla salute dei Veneti finanziato da palazzo Balbi con 500mila euro e affidato allo all'Istituto superiore di sanità (Iss), lo stesso Mantoan ha replicato affermando: «io non so se sia stato completato». Una risposta che il fronte ambientalista, con molti esponenti presenti in aula, ha accolto malissimo giudicandola in limine con la reticenza.

LA STAFFILATA DEI VERDI
«Mantoan non ha risposto alla mia interrogazione sulla fine fatta da quello studio da dirigente regionale. E nemmeno qui davanti alla corte ha chiarito come siano andate le cose nello specifico. Lo stesso silenzio, in ambito istituzionale, ha caratterizzato pure la giunta Zaia» ha detto a margine dell'udienza il consigliere regionale verde Cristina Guarda. La quale aveva posto il quesito assieme ad altri colleghi durante la precedente consiliatura: per un mistero che il processo per certi versi adesso ha addirittura infittito.

Guarda poi ha rincarato la dose scaraventando verso Mantoan e verso palazzo Balbi parole che pesano come macigni: «Sicuramente se costoro avessero dato seguito allo studio epidemiologico in accordo con l'Iss dopo aver adeguatamente finanziato lo stesso Iss, oggi in aula avremmo importanti informazioni per sostenere l'ipotesi non solo di disastro ambientale, ma anche di inconfutabile disastro sanitario a carico degli imputati». Che, volontariamente o meno, le inerzie di palazzo Balbi abbiano finito per alleggerire la posizione degli imputati è da tempo un sospetto che a più riprese è serpeggiato nella galassia ambientalista: un sospetto che da tempo è al centro delle proteste di piazza. Per di più le parole di Guarda hanno un significato particolare anche alla luce della enigmatica archiviazione decisa alcuni anni fa dalla procura di Vicenza rispetto ad una inchiesta sul caso Pfas che aveva riguardato sicuramente alcuni vertici della agenzia ambientale regionale ossia Arpav rispetto ad eventuali inerzie della Regione Veneto e degli enti collegati.

Mantoan, al quale solitamente la maggioranza dei giornalisti veneti ha sempre riservato un trattamento ossequioso, ieri fuori dall'aula, è stato letteralmente braccato dalle telecamere della Rai. Messo alle strette ha spiegato come un monitoraggio sanitario sulla popolazione molto approfondito sulla incidenza dei temibili derivati del fluoro, i Pfas appunto, sulla salute dei veneti sarebbe senza dubbio auspicabile nonché «doveroso». Mantoan da questo punto di vista parla anche di sé. Nel senso che più volte alla stampa ha confessato come la contaminazione lo abbia colpito duramente di persona poiché risiedendo a Brendola, uno dei comuni nella cosiddetta zona rossa, il manager pubblico si è trovato nel sangue livelli di Pfas nel sangue particolarmente elevati. Una presenza che, come dimostrano molti studi, anche in concentrazioni ben minori può causare un numero impressionante di patologie.  

IL NOE
Decisamente più in palla è apparso invece Tagliaferri che durante la sua deposizione, che continuerà anche durante la prossima udienza, non ha mai perso un colpo. Il maresciallo del Noe ha spiegato in breve la genesi dell'indagine e ha spiegato come si sono concretizzati alcuni impulsi investigativi che hanno portato i militari, tra le altre, a sequestrare una «notevolissima mole di carte». Carte dalle quali è emerso, la vicenda è già nota peraltro, come la società oggi imputata fosse a conoscenza del proprio stato di decozione ambientale, per certi aspetti, già a partire dai primi anni '90. Una situazione difficile che col passare degli anni si è aggravata fino a giungere al fallimento di una società ormai ridotta al collasso. Proprio il mancato accantonamento delle dovute somme da destinare alle bonifiche è alla base della accusa di bancarotta fraudolenta che pure è entrata nel processo.

In questo contesto la testimonianza di Tagliaferri, quantomeno a giudizio dei legali dei gestori del ciclo integrato dell'acqua (che sul punto ieri hanno diffuso un breve dispaccio), è importante anche per un altro motivo. Il sottufficiale del Noe ha infatti spiegato come l'inquinamento di questi anni al di là «della vexata quesito» degli scarichi, sia da attribuire alla situazione del sottosuolo sotto l'impianto e di conseguenza alla scarsa tenuta dello stesso impianto divenuto negli anni una sorta di colabrodo. Si tratta di un passaggio cruciale.

Perché se per gli scarichi in qualche modo si può discutere di limiti, di soglie e di immissioni più o meno tollerate, la tenuta o meno delle installazioni della fabbrica trissinese è ben altra cosa. La tenuta infatti per quanto concerne il futuro verdetto assume un ruolo dirimente nell'identificare se una condotta sia penalmente rilevante oppure no. Il motivo è presto detto. Parlando in astratto uno scarico può essere o non essere autorizzato, può essere o non essere sotto soglia. Una perdita invece, che sia punibile o meno penalmente, ha sempre a che fare o con una condotta o negligente o colposa o peggio dolosa. Sullo sfondo per di più rimane il tema della bonifica e dei tempi per realizzarla sempre se questa sarà possibile. Si tratta di timori così radicati che ieri Legambiente poco prima dell'inizio del processo ha organizzato un breve sit-in con tanto di striscione proprio davanti all'ingresso del tribunale di Vicenza.

LA PERQUISIZIONE A CARICO DI MANTOAN
Rimane da capire come mai Mantoan ieri sia apparso così sotto tono. Una spiegazione possibile l'ha fornita Il Mattino di Padova di ieri in pagina 9. In quel servizio si dà conto di come Mantoan fosse atteso a processo non ieri, ma durante l'udienza precedente. Il motivo della assenza del manager pubblico sarebbe da ascrivere al fatto che Mantoan mentre stava per partire per Vicenza, nella sua casa di Brendola, si è trovato un gruppo di investigatori con con un mandato di perquisizione. L'indagine sarebbe in capo alla procura di Roma: il che verosimilmente fa pensare che la stessa indagine abbia a che fare con gli incarichi assunti nella città eterna da  Mantoan (sul quale peraltro continua ad incombere lo spettro dell'affaire Stellato) dopo avere lasciato la direzione generale della sanità veneta. Per un periodo infatti il vicentino era stato a capo dell'Aifa, ovvero dell'Agenzia nazionale del farmaco. Lasciato quell'incarico il brendolano è divenuto direttore generale di Agenas, ossia l'agenzia nazionale che coordina le politiche sanitarie delle singole regioni. Mantoan, riporta Il Gazzettino di Padova di oggi in pagina 11 nell'ambito di quel procedimento in capo alla procura romana sarebbe indagato assieme ad altri.

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