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Miteni, «bonifica e barriera anti contaminazione sono al palo»

È impietoso il verdetto della Commissione ecomafie sull'affaire Pfas che ha coinvolto tutto il Veneto centrale: dura la reazione del mondo ecologista mentre ritorna all'ordine del giorno il dossier delle pressioni sulla politica da parte del mondo produttivo. Che è poco propenso ad un maggior rigore delle norme ambientali

La bonifica della trissinese Miteni è in alto mare e la barriera idraulica, primissimo fronte di contenimento contro il perpetuarsi dell'inquinamento da derivati del fluoro che promana nel sottosuolo dall'industria chimica di Trissino non funziona. Insomma sul caso Pfas Comune di Trissino, Provincia di Vicenza, Regione Veneto e governo sono ancora ferme al palo: una debacle annunciata che riguarda però anche il parlamento il quale dalla deflagrazione del caso non è stato ancora in grado di legiferare per ridurre ad una soglia prossima allo zero i Pfas presenti nelle matrici ambientali per le pressioni delle lobby produttive. Il verdetto è contenuto nella relazione conclusiva della Commissione ecomafie, relazione dedicata proprio all'affaire Pfas. Due giorni fa era stata l'Agenzia Dire a riferire per sommi capi gli esiti della stessa commissione. Ieri 20 gennaio sono arrivate le prime reazioni del mondo ecologista.

I VERDI
Il consigliere regionale veneto Cristina Guarda (Europa verde) è stata tra i primi a mettere nero su bianco il suo punto di vista. «Non è la prima volta - scrive il consigliere in una nota diramata ieri - che la Commissione ecomafie si esprime sui Pfas, ma a queste esortazioni, sulla scia di quanto ribadiamo ormai da anni, non sono mai seguiti i fatti. Già nel 2018, a seguito della votazione della Direttiva europea acque potabili, feci approvare all'unanimità in Consiglio regionale una mozione che impegnava la Giunta a sollecitare il Ministero a fissare con decretazione d'urgenza limiti a tutte le sostanze perfluoroalchiliche... Negli anni il colore politico del governo è cambiato, ma l'atteggiamento sulla emergenza Pfas è rimasto lo stesso: dichiaratamente vicino ai cittadini coinvolti nel dramma Pfas, ma al contempo  assai poco incisivo politicamente in materia di prevenzione. Un decreto» sui limiti ma non solo argomenta l'esponente dei Verdi «sarebbe stato utile all'epoca, così come lo sarebbe ancora oggi».

LE CANNONATE DEL COVEPA
Altrettanto duro è l'architetto Massimo Follesa. Ex consigliere comunale trissinese e portavoce del Covepa, uno dei gruppi ecologisti veneti più tranchant nelle critiche, in una nota diffusa stamani Follesa mena fendenti a destra e a manca: «A mio giudizio la cosa più importante tra quelle esplicitate dalla Commissione ecomafie è il fatto che all'oggi non vi sia alcun provvedimento di bonifica messo in atto seriamente per il recupero della falda. Manca l'avvio di studi e ricerca, nonché manca la previsione di investimenti per dare corpo a quelli che restano auspici. Di fatto è un atto di accusa a chi amministra questo territorio in particolare al primo di tutti al governatore leghista Luca Zaia e poi ai suoi assessori. Nel documento della commissione bicamerale ci sono anche altre riflessioni come quelle sui limiti che proprio in quella relazione sono presentate ma che sono prese e agitate dai soliti venditori di specchietti e perline veneziane. Le riflessioni sui limiti sono un corollario a un teorema che in questi anni ha portato alle cancellazioni di numerose norme che assicuravano politiche di controllo basate sui limiti. Si veda come riferimento quelle che hanno gestito la concia con un metodo che ha permesso ai Pfas di diffondersi, contando solo sul fatto che sarebbe stata la falda e la terra a nascondere le dispersioni». Ai taccuini di Vicenzatoday.it Follesa aggiunge poi che «oggi la Ecomafie spiega come la bonifica e il contenimento dell'inquinamento con la barriera idraulica siano disgraziatamente al palo». 

DISASTRO ANNUNCIATO
Si tratta di parole che pesano come macigni perché alla luce di quanto denunciato nella relazione la comunità veneta è costretta a fare i conti con sé stessa nonostante il monito di diversi scienziati e di diverse associazioni. Già cinque anni fa si era vociferato delle pressioni che da precisi ambienti confindustriali sarebbero giunte nei confronti di alcuni membri della commissione ecomafie. Il motivo? «Darsi da fare affinché l'organo bicamerale non alzi troppo la voce. Il motivo è presto detto: ci sarebbe un piano per far fallire la Miteni e non onorare gli obblighi di bonifica e per evitare di affrontare i costi per contenere l'inquinamento con i dispositivi storicamente in funzione presso l'impianto, che in gergo tecnico si chiamano barriere idrauliche». Lo scenario preconizzato nel 2017 si è materializzato puntualmente seguendo scrupolosamente il copione di prammatica nei casi ambientali. Ossia il copione di una ditta che tratta sostanze più o meno conosciute, che non si sa bene come viene autorizzata a lavorarle, che poi dopo aver inquinato l'ambiente dribblando i controlli veri assiste alla obsolescenza degli impianti per poi fallire lasciando sulla groppa di quegli enti pubblici che ne avevano autorizzato scarichi e produzione l'onere di una bonifica che non ci sarà mai. Frattanto la situazione in tutta l'area contaminata ossia alcune porzioni del Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano rimane drammatica e all'orizzonte non si vedono sbocchi di alcun tipo.

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