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Martedì, 23 Aprile 2024
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«Nel Veneto e nel Vicentino c'è un boom di pazienti legati»

La denuncia, che riguarda le persone affette da disagio psichico, è dell'associazione Cittadinanza e salute: la quale dopo la manifestazione contro la privatizzazione della sanità del mese passato rimette sul tavolo della politica locale una serie di dossier «rimasti avvolti troppo a lungo in una penombra abietta»

Da ieri Giacomo Possamai è il nuovo sindaco di Vicenza. Uno degli slogan che durante la sua campagna elettorale ha fatto più presa è stato «uno psicologo per ogni quartiere». L'uscita del candidato non era stata casuale perché le emergenze di natura psichica, nel modo giovanile e non per non parlare dei problemi di natura psichiatrica sono da anni i fattori chiave di quel disagio diffuso «che si trasforma in malessere sociale» fa sapere Edoardo Berton. Infermiere per oltre vent'anni al reparto di psichiatria del San Bortolo a Vicenza, già presidente, oggi nel direttivo, della associazione con base a Vicenza «Cittadinanza e salute» la quale si batte per i diritti dei malati psichiatrici, Berton il 15 aprile era stato tre le prime file nella manifestazione «contro la privatizzazione della sanità pubblica nel Veneto» organizzata dal Covesap, il coordinamento di comitati veneti che da anni monitora il comparto sanitario del Nordest.

Berton durante la recentissima campagna per le comunali di Vicenza il tema della sanità pubblica ha fatto più volte capolino, anche se non ha suscitato clamori particolari. La vostra associazione il 15 di aprile è stata tra coloro che hanno animato il corteo. Come mai?
«La nostra associazione ha come scopo primario la difesa dei diritti delle persone con sofferenza mentale. Crediamo sia fondamentale coinvolgere la popolazione nella nostra azione. Al contempo siamo ben consci di un problema grave. La Sanità pubblica, tra le altre, deve affrontare da anni una drastica riduzione delle risorse destinate a quest'ultima».

Più nel dettaglio se si rivolge lo sguardo al mondo della salute mentale di che cosa ci si dovrebbe accorgere?
«Nell'ambito della salute mentale la regione Veneto investe meno che in altre regioni d’Italia. È penultima per spesa sanitaria dedicata. Le linee guida nazionali raccomandano che le regioni impieghino nel settore della salute mentale il 5% del fondo socio-sanitario. Nel Veneto dal 2016 tale impiego ammonta ad un misero 2%».

Con quali conseguenze?
«Purtroppo abbiamo assistito negli anni ad un impoverimento della rete di servizi territoriali, in particolare quelli relativi alla salute mentale. Si pensi alla eliminazione o al depotenziamento dei distretti, dei Centri di salute mentale ridotti a dispensari di farmaci. In tal senso ricordiamo quanto accaduto a Schio. Durante la recente emergenza pandemica se ne è sentita pesantemente la carenza, in quanto le persone più deboli hanno sofferto più degli altri. Le risorse comunque si spostano massivamente sul privato, spesso legato a logiche di istituzionalizzazione, condizionato spesso da un approccio volto alla realizzazione massima del profitto. Sono gli effetti dell'ebbrezza neoliberista di questi anni, che non accenna a passare».

Che cosa bisognerebbe fare invece?
«Bisognerebbe invece rilanciare il modello della psichiatria di comunità, che mette al centro la persona, che valorizza le relazioni interpersonali contemporaneamente con i contesti, grandi o piccoli all'interno dei quale egli vive. Il modello si fonda sulla necessità di creare una rete integrata di servizi, in grado di erogare risposte diversificate e complesse ai bisogni complessi della persona».

In campagna elettorale a Vicenza si è parlato molto di psicologo di quartiere, di ripotenziamento dei consultori. Perché?
«Premettiamo che l'assistenza psicologica, pur legata alle dinamiche del disagio mentale, è cosa diversa dall'assistenza psichiatrica. Detto ciò ben venga la richiesta di un potenziamento dei servizi che possono essere offerti dagli psicologi o in determinati casi dai sociologi. Ripeto, l'assistenza migliore è quella che è in grado di essere tarata sugli individui e sui gruppi cui di cui questi fanno parte. Purtroppo il depotenziamento dei consultori è uno dei tantissimi capitoli che ha caratterizzato il depauperamento del corpo socio-assistenziale di questo Paese e di questa Regione che non è o non dovrebbe essere fatto solo di ospedali ma di strutture diffuse, popolate di personale motivato e ben retribuito».

Può fare un altro esempio?
«Pensiamo per esempio alle carenze del supporto psicologico per alunni e genitori di elementari, medie e superiori. Se mai c'è stato è de facto evaporato seppure sia previsto. E Posso andare avanti ore».

E nei reparti di psichiatria che cosa succede?
«Ormai alla collettività è rimasta una psichiatria affardellata, che non può prendersi in carico le persone. Una psichiatria molto spinta verso l'approccio medicalizzato, da sempre eccessivamente incline verso posizioni eminentemente neurologiche. Il che avviene su input di dirigenti e dirigenti medici ormai sempre più lontani dal modello basagliano. Ossia quel modello che punta ad una cura del paziente basata non solo sui farmaci, sulla separazione dei pazienti in aree protette e sui farmaci: ma basata anche su una terapia fatta di dialogo, ascolto, comprensione, studio dei comportamenti. Ci sono troppi specialisti, e la cosa è triste quanto grave, che considerano il modello legato alla legge Basaglia quella che abolì i manicomi, come superata».

Secondo lei molti specialisti propugnano un ritorno strisciante, per così dire, ai manicomi, un po' per cultura, un po' per permettere di risparmiare risorse in un settore del quale all'opinione pubblica interessa poco?
«Sì è così. Purtroppo ci è rimasta una psichiatria di stato, usando le parole dello scrittore vicentino Vitaliano Trevisan, che ne ha fatto un'esperienza diretta che si occupa dei bianchi di estrazione sociale medio-bassa. E si limita a prescrivere e somministrare prevalentemente farmaci e al ricovero in reparti dedicati che ormai sono luoghi di detenzione più che di cura».

Voi non avete mai avuto l'impressione che l'occultamento delle persone con disagio mentale sia in fondo in fondo un escamotage del ceto dirigente per evitare di mostrare una tara atavica ed una inconfessabile spina nel fianco della società così come l'abbiamo conosciuta dopo l'avvento della civiltà industriale?
«Spesso abbiamo avuto questa impressione. In questo caso però si dovrebbe aprire una riflessione ad amplissimo spettro».

E allora a questa benedetta psichiatria che cosa rimane?
«Ci rimane una psichiatria privata della sua vocazione di cura. Una disciplina che risponde a necessità di segregazione e di controllo sociale, tanto per parlare, se vogliamo, di spina nel fianco della società contemporanea».

La vostra associazione in passato ha sollevato il problema del contenimento dei pazienti, ossia il fatto che le propone con disagio mentale siano spesso legate nei reparti. Poi avete sollevato il problema di come gli psicofarmaci, specie in combinata, vengano somministrati ai pazienti. Come mai?
«La contenzione meccanica è la pratica mirata a limitare o impedire il movimento volontario di una persona in cura attraverso cinghie o altri mezzi meccanici. Le persone contenute sono di solito persone fragili, come sofferenti mentali, anziani, ma anche minori o persone con handicap. È un atto lesivo della dignità e dei diritti della persona, vietato dalla nostra Costituzione. Come associazione abbiamo sempre combattuto questa pratica inumana. Siamo in possesso dei dati che abbiamo richiesto e ottenuto dai dipartimenti di salute mentale di Vicenza e possiamo dire che sono clamorosamente alti. La contenzione è diffusa in tutti gli i centri dedicati al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, i famigerati Spdc, della provincia berica ed in gran parte dell'Italia: e in modo particolare nel Veneto».

Detto in altri termini, più terra terra?
«Nel Veneto e nel Vicentino c'è un boom, diciamo per certi versi cronicizzato, di pazienti affetti da disagio psichiatrico che vengono legati. E ribadisco. La pratica è inumana».

Siete preoccupati?
«Sì, certo. Il perdurare di cattive pratiche, come la contenzione, si avvale del silenzio generale, per questo ci teniamo particolarmente che la gente sia informata. Spero che il nuovo sindaco ascolti il nostro grido di dolore. Perché c'è una parte città, non solo della città per vero, che soffre in silenzio. Soffre chi vive isolato in strutture più o meno invisibili. Soffrono i cari di questi sfortunati che hanno bisogno di risposte umane e competenti. Gli individui con problemi psichici non sono scarti di lavorazione della catena del valore. Sono esseri umani. In questa città, in questa provincia e in questa Regione ci sono dossier a non finire rimasti troppo a lungo avvolti in una penombra abietta».

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