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Dalla Libera racconta Marmajeta e il Lane

In libreria, per ricordare gli anni d’oro di Vicenza e del Vicenza

Il calcio, svago plebeo per eccellenza, esercita un fascino inspiegabile sui letterati. È un fatto assodato, mica un’opinione. Ha contagiato illustri poeti, da Leopardi, Saba a Sereni e scrittori, da Arpino, Pasolini, Vasquez Montalban a Norby. L’elenco sarebbe da Enciclopedia Britannica.

Noi vicentini, in particolare, sulla magìa del pallone abbiamo consumato fiumi di inchiostro. Più o meno memorabili. Perché qui da noi il calcio non è solo sport, ma quasi una filosofia di vita. Tra le cose più godibili in materia mi vengono in mente i versi di Antonio Stefani o i romanzi di Stefano Ferrio. Senza scomodare Meneghello e i gli “ongari” di “Libera nos a malo”, quelli che alla sfera davano di ranca. Alla lunga lista dei cantori del pallone, soprattutto il pallone di casa nostra, si aggiunge ora Giancarlo Dalla Libera, col suo “Marmajeta” edito da Minerva.

Vicentino, sessantottenne, aggiunge questa nuova opera alle due precedenti: “Onde anomale” e “Diversamente amabile”. Parliamo di una storia sociosportiva che sta tra “I ragazzi di via Paal” di Molnar e “La squadra di stoppa” di Enrico De Martino. Una storia che si dipana nel quartiere della sua fanciullezza, in zona Stanga, nei pressi del mitico Romeo Menti. Una storia che racconta le gesta dei dilettanti della Concordia, dei loro colori gialli e poi neroverdi, dei campi polverosi e dei pantani impossibili. Nostalgia. Ci sono cascato anche io a suo tempo, quando nella seconda puntata della saga di Benny Sperandio, non ho saputo sottrarmi dal raccontare dell’Intrepida di San Bortolo e delle sue casacche blucerchiate. E sulle pagine di “Marmajeta”, inevitabilmente, spuntano fuori i Tango di plastica e i palloni di cuoio con gli spaghi.

Le pesantissime maglie di lana e le scarpe sempre consumate. Ma attenzione, non si tratta di un romanzo di calcio. Almeno, non solo di calcio. Dalla Libera ci consegna un amarcord sugli anni 50, sugli amici che restano nel cuore tutta la vita, in una carrellata di personaggi che assomigliano maledettamente ai compagni di gioco di ogni lettore. Non è solo un romanzo di calcio, dicevo. Perché ad inframmezzare azioni di gioco, vittorie e sconfitte, ci trovate Baglioni, De Gregori, De Andrè, Dalla e gli altri della stagione dei cantautori Doc. Sbucano fuori, come le “bale dei caramei” citazioni che sono familiari pure a me, nonostante i quattro anni in meno dell’autore: Fantic Caballero e Corsaro Morini 125. Autoscontri Rizzi e soldatini Airfix, granatine all’orzata e piatti di pesce popolo, Ciocorì e zucchero filato, oratori e biciclette, Rossi contro Fusinieri. Manca solo la politica, che dev’essere stata stranamente estranea ai Marmajeta, in anni in cui era praticamente impossibile starne fuori, se non altro come osservatori. Sbaragliata, immagino, dalla scoperta dell’altra metà del cielo.

La vicenda narrata nel libro si conclude con una nota amara, che stride un po’ con l’allegria che domina il racconto. Ma la malinconia la conosciamo bene tutti noi, ragazzi del Dopoguerra. E’ un’amica maligna che ti appoggia la mano fredda sulla spalla non appena di accorgi che le gambe viaggiano molto più lentamente del cervello. E che quel pallone che una volta avresti domato con facilità sembra preda del famoso coniglio. Ti risuona allora nelle orecchie il grido del ventenne nell’ultima partitella in spiaggia: “Passaghela al vecio!”. Il vecio sono io. Sei tu, Giancarlo.

Il sottotitolo del romanzo dice: “La squadra perfetta”. Francamente non so dirvi quale sia. Se sia Atalanta-Vicenza del 1973 oppure Vicenza Napoli del 1997. Ma una cosa è certa. Al modico prezzo di euro 18 vi consiglio di regalarvi una piacevole lettura, zeppa di citazioni e ricordi che vi faranno compagnia.

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