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È bufera sull'inquinamento del Fratta Gorzone

La situazione a monte e a valle di Cologna Veneta scatena le ire di un paio di consiglieri regionali e della rete ambientalista i quali investono la procura scaligera e altre autorità con una caterva di denunce: nel mirino finisce così il comparto conciario-chimico dell'Ovest vicentino ma pure lo stato di salute del Brendola

È burrasca sullo stato di salute del Fratta Gorzone e sulla azione contaminante che ne avrebbe aggravato ancor più la situazione: azione addebitata al collettore Arica, «il maxi tubo» che raccoglie gli scarichi, principalmente industriali, dei depuratori di Trissino, Arzignano, Chiampo, Montorso, Zermeghedo e Montebello. Due giorni fa era stata Legambiente Veneto ad inviare un esposto alla magistratura. Ieri era stato il consigliere regionale veneto del Pd Anna Maria Bigon a dirsi preoccupata per l'evolversi degli eventi. In queste ore é il consigliere regionale Cristina Guarda di Ev a farsi avanti con un esposto indirizzato alla procura scaligera proprio oggi 12 ottobre nel primo pomeriggio. Ad impensierire il fronte ambientalista è l'impianto di Cologna Veneta nel Veronese in cui il collettore Arica versa i suoi reflui nel Fratta Gorzone. A causa della siccità e dei lavori di manutenzione sul canale Leb, il canale che porta l'acqua più pulita dell'Adige proprio nel Fratta, permettendo così la diluizione de facto degli inquinanti provenienti dall'Ovest vicentino, la portata in questi giorni si è ridotta al lumicino. Tanto che, ancor più del solito, proprio a Cologna il Fratta Gorzone, il quale altro non è che la prosecuzione del torrente Agno-Guà, ha assunto «una inquietante tonalità rosso-bruna» che ha spaventato una parte dei residenti ma anche svariati operatori del mondo agricolo e di quello dell'allevamento: i quali tra Veronese e Padovano con l'acqua del Fratta ci campano, ancorché quel fiume da anni sia considerato dalle autorità uno dei più mal messi del Belpaese.

CONTROVERSIA INFINITA
La questione è nota da anni. La rete ambientalista da tempo immemore considera l'apporto di acqua proveniente dall'Adige non una «vivificazione» come in gergo amministrativo la definiscono gli enti pubblici, bensì una banale diluizione contraria alla legge. Sul versante opposto ci sono le categorie produttive (in primis chimica e concia) dell'Ovest vicentino le quali sostengono che senza la possibilità di procedere allo scarico con le modalità previste oggigiorno, un comparto produttivo «che sostenta 75mila famiglie e che vale tra i 2,5 e i tre miliardi di euro l'anno» chiuderebbe d'emblée. A valle ci sono le ragioni del settore primario che tra Veronese e Padovano (ma pure, almeno in parte del Vicentino) chiede acqua più pulita per irrigare e per far bere gli animali allevati. Di contro in più di una occasione sono stati gli industriali ad accusare l'agricoltura, a causa delle sostanze chimiche impiegate nei campi, di essere assai più impattante nei confronti dell'ecosistema di quanto facciano gli stabilimenti.

LE PROTESTE DEGLI ANNI '70 E '80
Ad ogni buon conto tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80 la protesta montò così tanto che i sindaci della Bassa del Veneto si misero alla testa di un movimento che terminò solo con la tregua degli anni '90. Quando con un accordo tra la Dc e alcuni settori del centrosinistra, Verdi inclusi, si decise di concentrare le zone industriali dell'Ovest vicentino e di creare i depuratori consortili, che raccolgono quei reflui che tra derivati del fluoro (Pfas) e altre sostanze preoccupano non poco la rete ambientalista e non solo quella.

AFFAIRE MITENI: LA CRISI SI RIACUTIZZA
La deflagrazione dell'affaire Miteni-Pfas e il fatto che sul nodo di Cologna Veneta si siano accesi i riflettori delle tv nazionali e ora di quelle straniere (in loco ci sono troupe tedesche, belghe e francesi visto che il problema Pfas si è materializzato anche in quei Paesi) ha nuovamente dato fiato alle recriminazioni degli ecologisti. Che per vero non avevano mai smesso di protestare. Legambiente, tanto per dirne una, anni fa aveva già investito più volte la procura scaligera. Un esposto era stato inviato «ai magistrati veronesi a gennaio del 2022». Due giorni fa c'era stata «un'altra reprise» firmata Legambiente Veneto e dal circolo colognese della stessa associazione che si chiama appunto «Perla blu». Oggi è stata la volta di Guarda che sul suo blog oltre a dare conto dell'esposto inviato alle toghe scaligere ha fornito tanto di immagini e filmati. Altri filmati, in questo caso si tratta di immagini aree, sono stati invece girati in loco e pubblicati da Vicenzatoday.it: la qualità cromatica dell'acqua è evidente: il tono scuro dei reflui provenienti dal canale Arica pure.

LE BORDATE DI LEGAMBIENTE E BIGON
Ma che cosa preoccupa ecologisti e consiglieri regionali? Detto in estrema sintesi questi chiedono alle autorità preposte (magistratura ed amministrazioni varie) di analizzare quelle acque e di valutare se siano rispettati i limiti o se comunque ci siano condotte penalmente rilevanti. «La situazione del Fratta Gorzone non è rassicurante. Da un lato, benchè siano state diluite, le acque continuano a rimanere da dieci giorni colorate di rosso marrone scuro, a causa dei reflui scaricati. Contemporaneamente non c'è più certezza, a seguito della lunga stagione siccitosa, se la portata delle acque sia a norma. In particolare va chiarito se in località Sule di Cologna Veneta, il canale Leb, immettendosi nel fiume Fratta, riesca a garantire un apporto di acqua pari a sei metri cubi per secondo». Che è poi è la portata minima di vivificazione sotto la quale il rubinetto degli scarichi di Arica, che ha sede legale a Arzignano, andrebbe o chiuso in parte o in toto. Questo è quanto dichiara la Bigon in una nota redatta ieri. Sempre ieri la stessa Bigon aveva peraltro inviato una segnalazione ai carabinieri del Noe, una all'Arpav e una alla Provincia di Verona.

LA DENUNCIA DI GUARDA CON TANTO DI PROVE FILMATE
Acora più duro è per certi versi è il giudizio di Guarda. Quest'ultima sul suo blog oggi spara a palle incatenate. E spiega perché si è rivolta alla magistratura: «Il problema è che la crisi siccitosa e i lavori di manutenzione su un altro canale hanno comportato un minore afflusso di acque per così dire pulite dal Leb, andando a incrementare gli effetti della porzione di acque derivate dagli scarichi industriali. È quindi necessario comprendere i livelli di inquinamento a cui questo fiume è sottoposto: quanto è peggiorato? Nonostante noi di Europa verde abbiamo portato lo stato di salute di questo fiume all'attenzione anche delle autorità europee, che in risposta hanno confermato la sua grave condizione ambientale e le insufficienti azioni di tutela, oggi non risulta alcuna soluzione efficace nel prevenire un incremento dei livelli di inquinamento di questo fiume». Non va per il sottile nemmeno Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo colognese di Legambiente: «Noi combattiamo da anni questa battaglia a suon di esposti ma anche con iniziative volte alla sensibilizzazione della opinione pubblica. Ora tutti debbono fare la propria parte».

Da giorni tra l'altro molti agricoltori della bassa Padovana e della Bassa Veronese, questi le voci che girano fra gli operatori, sono preoccupati anche per lo stato di salute del fiume Brendola accusato di raccogliere in modo non adeguato i reflui industriali del polo industriale di Montecchio Maggiore. Il Brendola peraltro si immette proprio nel Guà nel territorio comunale di Lonigo. Ma come la pensano al riguardo i vertici di Arica? Chi scrive ha contattato il consorzio, dai cui dirigenti però, almeno per il momento, non è giunto alcun commento.

GUARDA IL FILMATO ELABORATO DA VICENZATODAY.IT

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