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Giovedì, 25 Aprile 2024
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«Infortuni in quota? Bisogna saper leggere la montagna»

L'alpinista Alberto Peruffo dopo i fatti tragici di Ferragosto registrati nel comprensorio recoarese, dice la sua sull'escursionismo e sul futuro del territorio

Quando si parla di incidenti in montagna spesso e volentieri si ha a che fare con «situazioni di pericolo» che si generano non tanto per il contesto particolarmente avverso, ma per errori, distrazioni, superficialità. A ragionare attorno a questo argomento anche alla luce del recente bollettino veneto che in Lessinia tra Vicentino e Trentino è costato due lutti a poche ore l'uno dall'altro è Alberto Peruffo. Noto per il suo impegno come attivista della rete ambientalista berica Peruffo oggi è anche uno dei più noti alpinisti nonché rocciatori della provincia berica che ha legato il suo nome soprattutto alle montagne andine del Sud America ma anche alle salite nel Subcontinente indiano: il tutto con una predisposizione speciale «per l'esplorazione». Ambito che lo ha in qualche modo lo ha impegnato anche nella sua attività ultra decennale come artista del linguaggio molto attento proprio all'esplorazione nel senso della sperimentazione di nuovi linguaggi in grado di coniugare parole, immagini e musica. Cresciuto «tecnicamente» sulle piccole dolomiti del comprensorio recoarese Peruffo, nato nel 1967 a Montecchio Maggiore, si dice affranto per i due anziani deceduti la domenica di Ferragosto a ridosso del rifugio Cesare Battisti. Ai taccuini di Vicenzatoday.it l'alpinista parla delle insidie «delle nostre montagne», sì facilmente raggiungibili dal turismo di massa, ma dalla difficoltà tecnica mai banale anche alla luce della maggiore fragilità dei percorsi in quota dovuti all'azione martellante del cambiamento climatico. 

Senti Alberto, durante le escursioni, quali sono gli aspetti che a tuo giudizio vengono piú trascurati? Esistono differenze tra gli errori commessi da chi pratica la montagna da esperto e da chi si avvicina ad essa in modo piú estemporaneo? Quali sono secondo te, sul piano della condotta, su quello della dotazione, su quello dell'approccio mentale, le raccomandazioni di base che possono essere date a chi va in montagna?
«Occorre ricordare che siamo in zone molto franose, soprattutto d'estate. Il che è anche un effetto dei cambiamenti climatici. Non va trascurato l'equipaggiamento, ma non va trascurata la segnaletica di montagna, ovvero i segnali posti nei sentieri, quando si è intrapreso un percorso giustappunto segnato. A volte su itinerari storici, come alcuni vaji, si possono trovare chiodi o spit, meglio noti come punti artificiali di ancoraggio, che ti portano fuori via, il che è causa sovente di incidenti».

Inoltre?
«Bisogna avere l'accortezza di evitare le zone più critiche. Purtroppo abbiamo perso la capacità di leggere il territorio senza strumenti, sopratutto oggi, in tempi di gps e guide satellitari».

Se si sta seguendo un dato percorso che tipo di attenzione va prestata ai segnali?
«Se sto seguendo un sentiero e perdo il segnale è fondamentale tornare indietro e riappropriarsi dell'itinerario. In caso contrario, specie in passaggi critici, si rischia».  

Da giorni e giorni a Recoaro e dintorni imperversa la polemica sulle strisce blu attorno al rifugio Campogrosso e sul «turismo forsennato» che attanaglierebbe quei luoghi. Grosso modo sono emerse tre scuole di pensiero al riguardo. La prima è quella del liberi tutti cara all'ex sindaco di Recoaro Franco Perlotto, uno scalatore come te. Poi c'è quella «ticket e strisce blu» praticata dalla attuale amministrazione capitanata da Armando Cunegato. In ultimo c'è la scuola del cosiddetto «turismo consapevole» per cui gli ingressi andrebbero modulati meglio, magari facendo ricorso a strumenti piú moderni come le navette o lo «smart traffic management» un po' come si va in Trentino Alto Adige. Tuttavia sullo sfondo c'è una Recoaro in cui i maggiorenti da anni si arroccano sulle rispettive rendite di posizione. Il che accade anche anche per una mentalità non proprio elastica, spesso atrofizzata nel passato, in ossequi alla quale si fa fatica a dialogare in modo compiuto. Tu come la vedi a riguardo?
«La questione è complessa, e ha bisogno di risposte articolate».

E quindi?
«Si può pensare a soluzioni alternative, magari un po' come succede in Trentino o in Alto Adige quando  gli accessi ad alcune zone vengono in qualche modo regolati. E ancora si può pensare all'implementazione dei bus navetta nelle giornate di punta o a speciali impianti di risalita a basso impatto ambientale con la stessa funzione. Certo non ne vanno costruiti più per piste da sci che a causa del cambiamento climatico non hanno alcun senso. Per evitare il traffico automobilistico quindi si può pensare a rari e strategici impianti come quello di La Paz in Bolivia, per citare uno dei più importanti, o l'ovovia di Recoaro, purtroppo fuori posto. Pensa se fosse stata costruita per salire a Campogrosso, quanto utile sarebbe oggi».

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