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Martedì, 23 Aprile 2024
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Industria e inquinamento? La Cei lancia la sfida da Vicenza

Durante un convegno organizzato presso il seminario di via Rodolfi il vescovo berico e una nutrita pattuglia tra studiosi e prelati, sulla scorta dei casi Pfas e Ilva, prende di mira l'attuale modello di sviluppo e propone una visione radicalmente alternativa

«Questo è un territorio ferito dal disastro ambientale delle acque di superficie, di falda e pure degli acquedotti pubblici. L'acqua è inquinata da sostanze perfluoro-alchiliche». Il vescovo di Vicenza Giuliano Brugnotto ieri 4 marzo ha salutato così, sganciando una bomba ad alto potenziale sul dibattito pubblico in materia ecologica, l'inizio dei lavori del convegno «Era cosa molto buona» organizzato dalla «Pastorale della Cei per la salute» al Centro studi monsignor Onisto presso il seminario berico. Modi gentili, sguardo imperterrito, il vescovo, incurante dei brusii di disappunto che da giorni si levano da settori del mondo politico e confindustriale, durante la prolusione introduttiva del simposio ha squadernato in modo semplice il suo pensiero gettando sul tappeto della discussione tutto il peso della Conferenza episcopale italiana. Che sulla questione ecologica da tempo, anche sulla scorta della «enciclica sociale Laudato si'» vergata da papa Francesco I a metà del 2015 ha annunciato in questi anni un cambio di passo. Cambio di passo che stando agli intendimenti distillati ieri in via Rodolfi a Vicenza vorrebbe dare vita ad un nuovo paradigma di idea della società «nel solco della dottrina sociale della Chiesa».

PESO SPECIFICO
Già il peso specifico dei relatori (ne ha parlato Vicenzatoday.it del primo marzo) la diceva lunga sulla traiettoria assunta dall'iniziativa durante la quale sono riecheggiate a più riprese le parole di don Massimo Angelelli: «Non è  accettabile che le comunità siano costrette a scegliere tra salute, ambiente e lavoro perché si tratta di tre ambiti che sono parte di un unicum che non può essere scisso». Detto in altri termini Angelelli che è il direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale della salute in seno alla Cei ossia la Conferenza episcopale italiana, ha voluto lanciare un messaggio preciso che più o meno, letto in filigrana, suona così: non accetteremo più il ricatto che obbliga a scegliere tra salute e lavoro che poi si traduce in in una preminenza dei desiderata o dei diktat delle istanze di precisi settori in ambito economico e politico.

L'ANALISI DI RENNA
Pochi minuti dopo l'intervento di Brugnotto è stato il turno dell'arcivescovo di Catania Luigi Renna il quale, in teleconferenza, ragionando attorno al dramma dell'inquinamento patito in varie regioni italiane senza mezzi termini ha spiegato che «non possiamo arrestare la nostra riflessione» sulla questione: un modo diplomatico per spiegare che la Cei non ha intenzione di fermarsi non solo sul piano della denuncia sociale ma pure in relazione alla necessità di trovare soluzioni condivise e incisive: questa almeno è la lettura che se ne dava tra le poltrone del teatro del seminario nel quale ha fatto capolino un centinaio di uditori fra religiosi, laici, qualche sindacalista e qualche politico. Non distante da Renna si è mosso Antonio Di Donna il vescovo di Acerra (comprensorio napoletano al confine col Casertano noto per lo scandalo ambientale della cosiddetta Terra dei fuochi).

DIOCESI IN RETE
Monsignor Di Donna durante il suo intervento ha proposto che come «avviene già in Campania» le diocesi interessate da aree vastamente inquinate comincino a muoversi all'unisono dando vita a percorsi comuni sul piano pastorale, ma anche in materia analisi dei problemi e delle possibili soluzioni. «Se vogliamo essere profetici dobbiamo studiare»: Di Donna in questo caso ha usato il termine «profetico» nella sua accezione laica ossia di vettore interpretativo rispetto alla capacità di leggere indizi di qualcosa che verrà in futuro.

Ed in questo contesto ha esortato la comunità cattolica nonché tutti coloro che hanno a cuore i problemi legati al degrado ambientale a misurare prima dell'azione, perimetro, peso e collocazione del problema stesso in ossequio all'antico adagio «conoscere per deliberare» anche perché sulla questione «c'è scarsa sensibilità pure tra noi vescovi». Il problema di fondo secondo il vescovo acerrano è che temi così delicati rimangano solo materia di studio «per gli specialisti» senza che diventino patrimonio in termini di azione anche da parte delle comunità del Paese.

I DATI DEL CENSIS
Le parole di Di Donna in qualche modo hanno trovato conferma nell'analisi di Ketty Vaccaro. La responsabile dell'area Salute del Centro studi investimenti sociali il Censis. La dottoressa Vaccaro sulla base delle statistiche analizzate dall'istituto di piazza di Novella ha spiegato come la questione ecologica «sia senza dubbio avvertita dagli italiani» anche se in maniera spesso generica. Vaccaro poi ha aggiunto un elemento di curiosità. La questione ambientale viene considerata un fattore di «ansia» dall'opinione pubblica. Tuttavia in questo contesto sono i soggetti dotati di «licenza media» considerare più grave questo fattore: gravità che è presa in considerazione in maniera maggiore «dai più giovani». Sul piano geografico peraltro sono i residenti «nel Nordest» a considerare in modo meno allarmante le emergenze ambientali del proprio territorio che tra l'altro è uno dei più esposti per quanto riguarda la cementificazione e nonché l'inquinamento di altra origine. Si tratta di un fattore di pressione che peraltro in termini di malattie e decessi colpisce sempre gli strati più deboli della popolazione: ossia anziani, bambini e poveri. Si tratta di morti che in molti casi per altro sono «evitabili» spiega Vaccaro ove i fenomeni che generano tali distorsioni sono adeguatamente contrastati. Per questo motivo la dirigente del Censis ha auspicato che la collaborazione in essere «tra società civile ed istituzioni» già in corso da anni si rinvigorisca ancor più.

IL MONITO DI PANÌCO
Epperò don Antonio Panico (professore associato di sociologia generale alla Lumsa e direttore della sede tarantina dello stesso ateneo di ispirazione cattolica) si è detto ben più pessimista. E citando la querelle in corso da anni proprio attorno al caso delle acciaierie Ilva di Taranto. «Ce lo ricorda anche il pontefice Jorge Bergoglio - rimarca Panico - noi non siamo solo chiamati ad assistere o a criticare dal balcone. Noi cattolici siamo chiamati ad incidere. Hanno ragione monsignor Brugnotto e monsignor Di Donna quando affermano che è difficile coinvolgere la base».

Per di più per quanto riguarda l'affaire Ilva il docente non rimarca «una volontà precisa da parte dello Stato centrale» di cambiare il passo per una gestione ambientalmente rigorosa e meno ambientalmente «impattante». Poiché il governo invita i tarantini a vivere secondo «un modello produttivo che è quello del secolo scorso» giacché si deve «continuare a produrre acciaio in quel modo devastante» per salute e ambiente: anche in considerazione «dello scudo penale che è stato offerto» a chi gestisce l'impianto siderurgico a fine anno proprio con i provvedimenti voluti dall'esecutivo capitanato dalla premier Giorgia Meloni.

NO «ALLO SCUDO PENALE»
Una manleva che la rete ecologista ha considerato una sorta di licenza di uccidere ed inquinare. «Se come sostengono i nostri governanti - attacca Panìco - a che cosa serve uno scudo penale se non per evitare problemi per condotte che verranno da oggi ai giorni futuri? Si chiede di produrre in modo diverso, come si fa in Austria, in Germania, in Belgio. E noi invece continuiamo a produrre come se fossimo in Cina o in India dove ancora si produce alla maniera tarantina, una modalità che ammazza perché stratosfericamente impattante».

INTERESSE NAZIONALE SUPERIORE
Un allarme che in qualche modo passa in secondo piano perché rispetto a situazioni limite come quella di Taranto in molti ambienti, dalla politica al mondo industriale come a quello della chiesa esiste «il negazionismo» in merito agli effetti nefasti di una certa produzione industriale sulle persone e sull'ambiente. Secondo don Panico non è pensabile che a Taranto come nel Veneto e nel Vicentino (afflitti questi ultimi dall'affaire Pfas) si possa pensare impedire di contrastare alla radice i problemi solo perché in ambito industriale militare o finanziario ci possa essere «un interesse superiore da tutelare».

LA BORDATA DI PICCOLI AI PARROCI
La questione della produzione di acciaio da parte dell'Ilva anche in relazione all'impulso al riarmo dell'industria italiana in relazione alla guerra in Ucraina peraltro era stata menzionata durante l'intervento di Sergio Andreis, direttore del centro studi Kyoto club.  Non meno pungente è stato l'intervento di Michela Piccoli. Vicentina di Lonigo, uno dei volti di spicco delle «Mamme No Pfas», non solo Piccoli ha parlato di disillusione nei confronti delle istituzione in ragione del fatto che la bonifica del sito Miteni di Trissino nell'Ovest vicentino, il sito industriale accusato dalla magistratura di aver contaminato con gli scarti della lavorazione dei derivati del fluoro suoli e acque in tutto il Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano, sia ancora «in alto mare». Piccoli, facendo un riferimento diretto alle parole di Di Donna e di Panico si è detta stupita per la scarsa partecipazione all'incontro organizzato dalla Cei a Vicenza della gran parte dei parroci il territorio delle cui parrocchie «è interessato appunto da questo tipo di contaminazione».

Una bordata (anche in relazione alla situazione potenzialmente critica della filiera alimentare aggravata dalla siccità degli ultimi mesi) che non ha suscitato imbarazzo presso i prelati presenti e che sulle prime è parsa anche animata da una preoccupazione più o meno condivisa da una buona parte dei presenti. E non è un caso tra l'altro che i lavori dell'intera mattinata siano già stati messi on-line dalla Pastorale per la salute della Cei.

UN LUNGO PERCORSO
I cui vertici fanno sapere che a breve saranno pure pubblicati gli atti del convegno segno che il simposio, secondo la volontà degli organizzatori non costituisce un momento a sé stante ma più un lungo percorso volto alla semina, alla consapevolezza e all'azione: sia sul piano sociale, sia sul piano pastorale, sia sul piano dottrinale. Come ha spiegato a più riprese durante la sua prolusione don Luca Bressan «Vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l'azione sociale della arcidiocesi di Milano». Alla fine dell'incontro tra gli uditori il coro era pressoché unanime sulla necessità di un campo di paradigma. Ma tra gli addetti ai lavori non manca la consapevolezza che occorra passare dalla teoria pratica «specie tra la gente comune». In termini rugbistici la strategia, per la quale la Cei sta mettendo in campo figure di peso non solo in ambito pastorale ma pure scientifico, è chiara. L'obiettivo è quello di fornire una visione diversa rispetto al dogma «economicista» che domina una gran parte delle relazioni sociali. Manca però «il pacchetto di mischia» per giungere a quella massa critica necessaria per operare i cambiamenti auspicati.

LA SINTESI
Ed è in questo senso che la Cei sta dislocando le sue forze: al netto delle spinte contrarie che sono presenti anche nello stesso mondo cattolico. «Questo di Vicenza - spiega alle telecamere di Vicenzatoday.it proprio don Angelelli, direttore per l'appunto dell'Ufficio nazionale Cei per la pastorale della salute, considerato uno degli strateghi della Conferenza episcopale italiana per le questioni ambientali - è un percorso cominciato due anni fa ad Acerra nella cosiddetta terra dei fuochi». Appresso un'altra considerazione: ambiti come «salute, ambiente e lavoro spezzono vengono contrapposti». Le persone vengono spesso forzate, «quasi sotto ricatto» spiega Anelelli, «a dover scegliere»: il che, denuncia Angelelli è estremamente «scorretto».

ASCOLTA L'INTERVISTA A MASSIMO ANGELELLI

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