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Green pass? «Blandi i controlli nel Vicentino»

Un funzionario della prefettura berica, garantito dall'anonimato, spiega ai taccuini di Vicenzatoday.it come tra enti deputati alle verifiche e esercenti ci sia un «appeasement» non scritto dovuto alle fragilità delle istituzioni e al malcontento delle persone

I controlli sull'obbligo di esibizione da parte delle forze dell'ordine della certificazione sanitaria in materia di coronavirus, meglio nota come Green pass, «sono e saranno all'acqua di rose per una serie di motivi». A dirlo ai taccuini di Vicenzatoday.it è un funzionario della prefettura berica che dietro garanzia dell'anonimato ha accettato di essere intervistato sull'argomento.

Che cos'è il Green pass davvero secondo lei?
«A farla breve non è che una manleva con cui lo Stato e Le Regioni, si toglieranno dagli impicci se dovesse manifestarsi qualche serio focolaio».

Può fare un esempio?
«Se per caso un focolaio si manifesta che ne so in un music bar durante un evento o in un ristorante durante un matrimonio, se quel focolaio è causato anche dal mancato rispetto di alcune disposizioni compresa quella sul Green pass allora sarà facile scaricare sui singoli le responsabilità».

Non è un giudizio un po' tranchant?
«Ma che cosa vuole le dica? Dai report che il tutto il personale delle prefetture ha potuto leggere dal 2020 emerge un aspetto chiaro. Regioni e Stato non sono stati all'altezza: per anni. Non è una colpa di questo o di quello. C'è un sistema di mezzo».

Però all'inizio di questo Covid-19 o Sarà-Con-2 si sapeva poco. O no?
«Questa è una scusa. I protocolli pandemici non sono stati rispettati. Punto. Lo ha spiegato Report meglio di chiunque altro. Ci sono responsabilità stratificate sulle quali sarà impossibile incidere solo coi proclami. Ad ogni modo facendo pure finta che le cose stiano così, ciò che non doveva succedere è quanto capitato tar l'estate e l'autunno dell'anno scorso: quando la natura del virus la si conosceva. Tracciamento, sequenziamento, disposizioni ad hoc per le varie realtà del Paese non sono state prese. Nel Vicentino si è tollerato che in molte fabbriche si continuasse a lavorare con gli operai contagiati. Evito poi ogni commento sui tamponi rapidi per carità cristiana».

E oggi nel Vicentino coi controlli che cosa succede?
«Succede quello che succede un po' nel resto del Paese. Le forze dell'ordine ci vanno coi guanti di velluto. I controlli avvengono in modo così plateale da risultare blandi. Va detto che nel capoluogo e in altre zone come lo Scledense, tendenzialmente, gli esercenti e gli avventori paiono essere un pochino più disciplinati. Non mancano i casi in cui siano proprio gli avventori a esibire motu proprio il Green pass. E poi c'è il resto della provincia».

Ovvero?
«La Valle dell'Agno è quella che agisce con più nonchalance. Si entra senza mascherina, senza green pass. Soprattutto nei cosiddetti baretti. In parte è anche comprensibile. Un po' la gente è stufa. Un po' gli esercenti sono presi da mille incombenze. Un po' c'è la ritrosia verso le regole. Non c'è una ragione e un torto».

E che c'è allora?
«Un frullato. I sindaci sanno che i commercianti pesano elettoralmente. I commercianti sanno che i sindaci sono in una posizione scomoda per cui si dà vita ad una sorta di appeasement non detto e non scritto».

Un po' all'italiana?
«Molto all'italiana».

Anche nel Veneto?
«Il Veneto è più italico di quanto si creda».

Sì però la gente è scesa in strada contro il Green pass. Sono tutti No vax come scrivono alcuni giornali?
«Facciamo una premessa. La cosiddetta galassia No Vax è molto eterogenea. Ci sono quelli contrari tout-court, anche per motivi religiosi. Ci sono i complottisti della domenica, ci sono gli scettici che argomentano il loro punto di vista in modo robusto e mettono in luce alcune indubbie criticità del sistema. E poi c'è la politica che ormai perde fascino nei confronti delle masse e allora, in questo caso lo fa la più la destra, prova a trovare un po' di vigore in piazza. Da questo punto di vista il Veneto ha una peculiarità».

Sarebbe a dire?
«Luca Zaia è un presidente di giunta regionale che domina lo scenario politico e amministrativo veneto in modo totalizzante, asfissiante per alcuni. Chi fa o vorrebbe far politica sotto sotto ne soffre e prova con queste manifestazioni, cui peraltro assistiamo in tutta Italia, a emettere qualche vagito. Provo per esempio a pensare a quello che rimane della cosiddetta galassia indipendentista, sempre presente in piazza, che nei fatti rimane legata all'orbita del Carroccio veneto. Questa parabola è stata misurata in modo millimetrico dalla Digos peraltro».

E quindi?
«E quindi le autorità conoscono i contorni e le dimensioni del problema. Conoscono, ma non li palesano, i propri preoccupanti limiti. Così alla fin fine queste piazze sono una valvola di sfogo per certi versi preziosa per un Paese comunque inquietantemente scucito. Indubbiamente poi la gente ha pagato uno scotto psicologico notevole. E soprattutto le incognite economiche rimangono tutte».

Quando si va nelle piazze però non manca chi sostiene che l'emergenza pandemica sia stata creata dal capitalismo finanziario che vuole aggredire le piccole attività, a partire dagli esercizi pubblici. Nel Vicentino questo è un refrain ricorrente. Che dice lei al riguardo?
«Queste persone invertono la causa con l'effetto. I detentori del potere economico da quando è nato il mondo cercano di sfruttare ogni sconvolgimento sociale per accrescere le loro quote di potere e di ricchezza. Da questo punto di vista la critica del piccolo imprenditore è monca e acefala perché a queste persone si potrebbe obiettare che è la natura intrinseca del mercato a portare gli uomini in questa direzione. Di contro se si descrive questa parabola non come una semplice dinamica sociale ma come una deriva inaccettabile, allora bisogna avere il coraggio di proporre un sistema alternativo».

In alte parole?
«Bisogna mettere in discussione anche i propri capisaldi. Se più o meno abbracci il mercato e con esso la globalizzazione, non puoi pretendere lo smartphone a basso costo col quale lanci il canale Telegram di protesta, esternalizzando lo sconto alla cassa sui bambini che estraggono il coltan in Congo per poi arrabbiarti se la multinazionale fa incetta di locali pubblici. In realtà uscendo dalla dicotomia destra sinistra, in alcune nicchie delle istituzioni, dell'università dell'industria, c'è chi si pone queste domande. Le soluzioni però sono un'altra cosa. E io non saprei davvero che cosa dire al riguardo. Mi limito a scrutare il panorama. Sulle attività commerciali però ai veneti un discorsetto andrebbe fatto».

Che discorsetto?
«Va bene inquietarsi per una eventuale colonizzazione del tessuto commerciale da parte dei grandi gruppi. Però non mi pare che ci siano tante manifestazioni di piazza quando si consuma altro suolo o si aumenta la saturazione del traffico a seguito della realizzazione dei poli delle multinazionali come Amazon o Ikea. Ma la cosa più inquietante è il silenzio per la colonizzazione che avviene coi capitali mafiosi che stanno scorrendo a fiumi. Da questo punto di vista la società civile preferisce un imbarazzato silenzio perché tutto sommato è ossequiosa del principio per cui pecunia non olet».

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