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Chiuso in ostello perchè italiano: la storia di Alessandro, bloccato in Perù dal Covid-19

Trentunenne nativo da Valdagno, è partito due mesi fa per un viaggio nel Sud America ma l'emergenza coronavirus sta rendendo la sua vacanza un incubo

Quando aveva pianificato il suo viaggio, alla scoperta del Sud America, certo non pensava che quella vacanza potesse diventare un incubo ma è quanto sta vivendo Alessandro Panciera, 31enne di Valdagno, tedesco d'adozione dal momento che da due anni vive a Berlino.

Laureatosi all'Università di Padova come ingegniere informatico, ha lasciato l'Italia e si è trasferito in Germania. Una scelta comune a molti. Lì ha trovato impiego e, dopo aver maturato parecchi giorni di ferie, ha pensato di pianificare uno di quei viaggi alla scoperta delle bellezze del mondo. L'idea era di raggiungere Argentina, Cile e Bolivia, per arrivare in Perù e fare poi rientro in Germania a fine marzo. Un'esperienza in Sud America di due mesi per tornare poi alla vita di tutti i giorni. 

L'emergenza Covid-19 si è però abbattuta come un tornando anche all'altro capo del mondo. "Quando sono partito la situazione sembrava tranquilla e non aver minimamente toccato il Sud America - racconta il 31enne - Sono arrivato in Perù intorno all'11 di marzo da Copacabana, sul lago Titikaka (Bolivia). Mi sono spostato a Arequipa (Perù) per trovarmi con amici e fare un trekking di qualche giorno all'interno di un Canyon (Colca). Da allora sono bloccato in un ostello a Cusco dalla quarantena totale, il blocco è fino al 30-31 di marzo e poi nessuno sa bene cosa succederà".

"La notte del 15 marzo scorso - spiega - è stata proclamata dal presidente la quarantena". Provvedimento che ha colto tutti di sorpresa dal momento che i casi di contagio da Covid-19 in Perù erano una cinquantina e concentrati tutti nella zona di Lima. "Quello che ha sorpreso un po' tutti - racconta Panciera - è che questo provvedimento non ha dato tempo ai turisti per pensare ad un "piano di fuga". Il giorno prima era tutto aperto, trekking e attività turistiche incluse. Il giorno dopo tutti chiusi nelle camere degli ostelli...e non auguro a nessuno di aver un passaporto cinese o italiano".

Perchè l'essere italiano ha fatto sì che Alessandro venisse trattato come un appestato: "Appena arrivato a Cusco - racconta - mi hanno cacciato da un ostello in cui avevo prenotato e in quello in mi trovo oggi, mi hanno chiuso in camera minacciandomi di cacciarmi o chiamare la polizia se fossi uscito. Poi si sono scusati avendo verificato che vivo in Germania e che ero in viaggio da molto tempo". 

Non solo, rispetto all'ottantina di persone presenti nell'ostello dove alloggia: "Sono stato l'unico a cui hanno fatto un'anamnesi della salute (senza una reale visita, solo dottori che facevano domande)", sottolinea il vicentino. 

In questi giorni di incertezza più totale sul suo rientro in Germania: "Ci è consentito uscire solo per recarci in farmacia, banca e supermercato, solo con mascherine (che molti non hanno) e dalle 5 del mattino alle 20. Poi scatta il coprifuoco e vieni arrestato se sei fuori. L'ostello si è organizzato per fare una specie di servizio mensa con turni in modo da non affollare i locali. Ed è proibita la vendita e il consumo di alcolici (i supermercati non li posso vendere al momento)".

Dalle informazioni in suo possesso: "Vedendo le mail dell'ambasciata non siamo in moltissimi italiani in Perù, credo meno di 50, ad essere onesti gli italiani incontrati in tutto il mio viaggio sono molto pochi, credo 5-6". Il suo rientro a Berlino è previsto il 27 marzo ma "la LATAM, compagnia aerea di rientro, al momento non ha ufficialmente cancellato il mio volo o proposto alternative. Ho provato a contattarli senza molto successo", spiega il 31enne.

"Qualche volo internazionale parte ma solo da Lima - continua - un gruppo di 200 francesi ha cercato di raggiungere Lima con un bus speciale organizzato dall'ambasciata per prendere un volo ma sono stati fermati dalla polizia e rimandati negli ostelli".

Situazioni limite che portano ad avere molte incertezze: "Spero di riuscire a rientrare almeno per i primi di aprile - conclude - perché la grande incognita è cosa succederà dopo la fine dei 15 giorni".

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