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Delitto di Gogna, spuntano le carte «bollenti»

In una relazione delle specialiste dell'Ulss 7 si fa riferimento ad una grave minaccia di morte nei confronti di Lidija Miljkovic prima che questa fosse freddata dall'ex marito. Il quale l'8 giugno uccise anche un'altra sua ex compagna. Frattanto la questura di Vicenza avrebbe aumentato il livello di attenzione a protezione dei figli e del nuovo compagno della donna per prevenire eventuali vendette maturate nella cerchia del killer

«Perché a un uomo già condannato è stato consentito di tornare ad avere l'affido dei figli? Perché a una madre è stato imposto di mediare con un ex marito violento e pericoloso? Perché questa donna non è stata tutelata?». Sono questi i passaggi cruciali di un intervento molto duro con cui Stefania Ascari oggi 5 luglio ha commentato la sua trasfera a Borgo Berga. Una trasferta avvenuta ieri durante la quale la deputata reggiana aveva incontrato il presidente del tribunale berico Alberto Rizzo nonché il procuratore capo della città palladiana Lino Giorgio Bruno: sullo sfondo ci sono gli interrogativi legati al duplice omicidio di Gogna.

IL COMMENTO
Ascari sul suo profilo Facebook è un fiume in piena. E rivolge i suoi interrogativi anzitutto alla giustizia. Sono molti i dubbi infatti che riguardano Zlatan Vasiljevic, l'altavillese di origine serbo-bosniaca che ha ucciso le sue ex Jenny Gabriela Serrano e Lidija Miljkovic, forse per ragioni legate al risentimento e alla gelosia per due differenti storie finite o vissute male. Ovvero sono molti i dubbi, sostiene Ascari sulle scelte fatte dalla magistratura penale e da quella civile lungo l'asse Vicenza-Venezia. Ascari, che è un componente di spicco della commissione giustizia e che sulla morte delle due donne sta combattendo una battaglia «di verità e giustizia», oggi pomeriggio è tornata sull'argomento pubblicando sul suo profilo Facebook anche un intervento video parecchio puntuto. Durante il quale si è scatenata contro quei tribunali che allontanano i bambini dalle famiglie, il più delle volte dalle madri che subiscono soprusi dai compagni o dai mariti, in forza di una sindrome, quella della Pas, meglio nota come sindrome della madre malevola, che è stata fatta a pezzi «dalla Corte di cassazione perché antiscientifica». Ovviamente la critica è ad ampio spettro e riguarda anche la filiera delle consulenze di cui l'autorità giudiziaria si avvale per giungere ad una conclusione piuttosto che ad un'altra.

LA RELAZIONE CHE SCOTTA
Ed è in questo contesto che va letta la relazione acclusa agli atti della separazione in corso davanti al tribunale di Vicenza (RG 5829/2019 RG): si tratta di carte che negli ambienti giudiziari sono state definite «bollenti». Ad ogni buon conto in quella relazione data 26 novembre 2020 e firmata da Jenny Dal Lago (assistente sociale presso l'Ulss 7) e da Fanny Galetti (psicoterapeuta presso l'Ulss 7) si legge: «Durante i primi colloqui la signora ha descritto tutti gli eventi familiari che si sono susseguiti all'interno del proprio nucleo... Non è stata in grado tuttavia di rileggere in modo critico il proprio atteggiamento che l'ha condotta, nel maggio 2018, a riavvicinarsi all'ex marito nonostante il divieto. Ha anzi giustificato tale dicendo talvolta che era stata... minacciata... dal signor Vasiljevic... e talaltra che sperava» che lo stesso marito «... cambiasse, mostrandosi di fatto ambivalente nei suoi movimenti di avvicinamento e separazione».

L'INTERROGATIVO
Proprio quest'ultima frase avrebbe mandato su tutte le furie alcuni cari della Miljkovic. Che non si sarebbero capacitati di quelle parole. In moltissimi casi di vessazione infatti il riavvicinamento delle vittime al vessatore avviene appunto perché queste ultime, proprio perché minacciate (e la Miljkovic racconta giustappunto delle minacce) sono in uno stato di prostrazione tale da pensare il riavvicinamento possa risistemare le cose. Non è chiaro su quali basi le specialiste dell'Ulss 7 Pedemontana (è l'azienda sanitaria competente perché Lidija viveva a Schio in quel periodo) abbiano criticato la condotta della donna poi uccisa dal serbo-bosniaco. Ma è in questa direzione che Ascari sta accendendo i fanali per chiedere chiarezza «a chi di dovere». La domanda è sempre la stessa. Se giustizia e istituzioni fossero state più risolute nel tranciare ancor più risolutamente ogni i legame tra Vasiljevic e la sua vecchia famiglia, il duplice omicidio si sarebbe evitato?

E di converso, il risentimento espresso a più riprese da Vasiljevic agli specialisti contro la sua ex, del quale risentimento c'è traccia evidente in quella relazione datata 26 novembre 2020, perché non è stata assunto da chi di dovere come segnale di una pericolosa parabola che avrebbe potuto caratterizzare la condotta dell'ex marito della Miljkovic? Perché l'uomo, rivelatosi poi omicida, in quella relazione viene descritto prima come persona che «manifesta una grande rabbia nei confronti della ex moglie», come persona che afferma che la stessa «gli ha distrutto la vita e continua a distruggermela», mentre in un secondo passaggio viene descritto come «autenticamente sofferente per la lontananza dei ragazzi?».

IL CENTRO ARCA
Epperò in quella relazione c'è pure il segnale di qualche problema di ordine generale in seno alla macchina dell'assistenza psicologica in capo alle Ulss. In un passaggio infatti si parla di come i figli della vittima per un periodo abbiano avuto il supporto di una struttura specialistica che funge da punto di riferimento per tutte le Ulss provinciali ossia la 8 Berica e la 7 Pedemontana. Si tratta dell'equipe specialistica del centro Arca. Un noto centro di ascolto (che si occupa dei problemi dei minori a 360 gradi) ubicato a Vicenza in via Santi apostoli.

LE ARGOMENTAZIONI DI DAL LAGO E GALETTI
Nel periodo antecedente alla relazione vergata da Dal Lago e Galetti, le due specialiste fanno riferimento alla comunicazione precedentemente inviata loro appunto dal centro Arca nella quale si specificava come «per problemi interni al servizio» non fosse stato «ancora possibile effettuare con i ragazzi un ciclo di colloqui sufficiente a stendere una relazione in merito alla loro attuale situazione con particolare riferimento al vissuto nei confronti della figura paterna». Pur a fronte di questi problemi, la cui natura non viene mai specificata, sempre Dal Lago e Galetti sostengono che «durante un confronto coi colleghi di Vicenza si è appreso» come i figli della Miljkovic nutrano «curiosità rispetto al padre e alle condizioni in cui si trova». Il passaggio è molto delicato perché non si afferma espressamente che i ragazzi esprimano chiaramente la volontà di un riavvicinamento al Vasiljevic, ma solo «curiosità» per le condizioni in cui lo stesso si trovava. Nonostante ciò le due firmatarie mettono nero su bianco che «gli operatori riterrebbero possibile un graduale riavvicinamento del padre ai figli» pur in assenza di «un quadro completo relativo al mondo psicologico dei minori».

IL SENTORE DI UNA INTIMIDAZIONE
E non è finita perché in quella relazione ci sono riferimenti specifici ad un pericolo di morte cui sarebbe andata incontro la scledense di origine serba. La donna, scrivono le incaricate dell'Ulss 7, ha raccontato alle operatrici di aver ricevuto «una chiamata dal fratello dell'ex marito che le diceva che... non vuole che i figli restino orfani». Quello che viene riportato dalle funzionarie dell'Ulss 7 avrebbe fatto raggelare il sangue ai cari della vittima. Di contro le «scriventi, data la rilevanza dell'evento narrato e la comprensibile preoccupazione per la minaccia, sono rimaste stupite dal fatto che la signora non avesse pensato di sporgere denuncia ma si fosse limitata solo a informare il suo avvocato». Anche in questo caso non ci sono passaggi in cui in qualche modo viene presa in esame l'ipotesi dell'eventuale stato di prostrazione della Miljkovic e della paura di quest'ultima, almeno in ipotesi, ad informare l'autorità giudiziaria.

QUERELA DI PARTE E DENUNCIA D'UFFICIO
Ma compulsando quel documento non è scritto se poi coloro che lo hanno redatto abbiano o meno provveduto ad informare d'impulso le autorità competenti. Il reato di minaccia di per sé si può solo perseguire a querela di parte. Non quando però quest'ultima è aggravata. In questo caso il combinato disposto degli articoli 612 e 339 del codice penale in una con le disposizioni in materia contenute nella sentenza della V sezione penale della Cassazione, la numero 35593 del 2015 (una sentenza molto studiata da chi si occupa delle violenza in famiglia) la rende perseguibile d'ufficio.

E quando un pubblico ufficiale viene a conoscenza di notizie di reato perseguibili d'ufficio ha l'obbligo di riferire i profili penalmente rilevanti alla magistratura o alla polizia giudiziaria o ai propri superiori: i quali comunque dovranno sporgere regolare denuncia. Chi non provvede in questo senso a sua volta commette un reato. Ad oggi non è dato sapere se questo aspetto sia oggetto della ispezione ministeriale ordinata dal Guardasigilli Marta Cartabia.

ALLERTA IN VIALE MAZZINI
Ad ogni modo l'eco di quella minaccia di cui le forze dell'ordine sarebbero comunque state a parte, subito dopo il duplice femminicidio dell'8 giugno, avrebbe spinto la Questura di Vicenza, queste le indiscrezioni che circolano in viale Mazzini, ad alzare la guardia per proteggere i figli della Miljkovic e i familiari di Daniele Mondello, il manager vicentino con cui la donna da alcuni mesi aveva dato vita ad una convivenza prima che quest'ultima fosse spezzata dal Vasiljevic: segno evidente che eventuali gesti estremi potrebbero maturare nella cerchia di Vasiljevic. Sulle cui entrature, a partire dai canali di approvvigionamento delle armi lungo la rotta balcanica (il killer era un camionista) sarebbero in corso accertamenti. Nell'auto in cui quest'ultimo peraltro è stato trovato morto (si parla di suicidio preceduto appunto dal duplice omicidio delle due ex, ma le circostanze sono ancora da chiarire) le armi appunto, bombe a mano incluse, non sarebbero mancate. Rimane da capire se il filo labile ma visibile della minaccia menzionata dalle specialiste dell'Ulss 7 fosse lo stesso che ha portato al delitto dell'8 giugno. E rimane da capire se questo delitto fosse o meno evitabile. Frattanto la posizione dell'altra vittima, la rubanese Serrano rimane defilata. Non è ancora possibile capire con dovizia di dettaglio se quest'ultima avesse avuto o meno sentore dei propositi criminali dell'uomo.

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