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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Scarichi e derivati del fluoro, il fronte rimane caldo

Su 45 pozzi privati utilizzati dalle concerie della Valchiampo in due casi sono stati rilevati valori di Pfas superiori al limite. È «un risultato positivo» reso noto dal gestore del ciclo idrico integrato nel distretto della città del Grifo: frattanto il fronte ambientalista ribadisce la sua contrarietà al prolungamento a sud del collettore dei reflui industriali dell'Ovest vicentino

Su un totale di 1.125 analisi effettuate sui 45 pozzi privati utilizzati dalle concerie di Arzignano e Chiampo per attingere acqua dalla falda per le lavorazioni industriali, solo in due casi sono stati rilevati valori di Pfas superiori al limite. Le due attività produttive interessate sono state avvisate da Acque del Chiampo dei superamenti e ora, per evitare di utilizzare acqua contaminata, potranno allacciarsi all'acquedotto o, in alternativa, utilizzare filtri a carboni attivi in grado di catturare le molecole di Pfas». È questo l'incipit di una nota diffusa ieri appunto da Acque del Chiampo ossia la società pubblica che gestisce il ciclo idrico integrato fra i comuni del comprensorio della città del Grifo.

NOVITÀ BEN ACCOLTA
«È un risultato molto positivo che va oltre le nostre aspettative. Acque del Chiampo nel corso del 2022 - fanno sapere il presidente di Acque del Chiampo, Renzo Marcigaglia, il vice presidente, Guglielmo Dal Ceredo ed il direttore generale, Andrea Chiorboli, ha sempre rispettato i limiti di Pfas allo scarico: ma il nostro obiettivo è eliminare qualsiasi presenza di molecole perfluoroalchiliche a monte, anche se si tratta di acqua ad uso industriale che non viene utilizzata per usi alimentari».

Secondo gli estensori della nota grazie a questo monitoraggio, realizzato in accordo con i comuni di Arzignano e Chiampo in un'ottica «di miglioramento continuo» della situazione, «abbiamo capito che la presenza dei Pfas nell'acqua prelevata dalla falda attraverso i pozzi delle aziende conciarie, e quindi immessa nel ciclo produttivo e successivamente nel processo depurativo che ha luogo nell’impianto di Arzignano, è quasi nulla. Ringraziamo le aziende del territorio che hanno collaborato con grande disponibilità. Acque del Chiampo continua anche il monitoraggio degli scarichi industriali delle concerie per individuare eventuali prodotti chimici contenenti i precursori dei Pfas, dandone comunicazione all'autorità di controllo».

LO SCANDALO E IL PROCESSO
Ma che cosa sono i Pfas? Questi ultimi sono una sterminata famiglia di sostanze chimiche  artificiali (derivate da fluoro e carbonio) il numero di componenti della quale è tutt'ora oggetto di una disputa tra scienziati. I Pfas sono utilizzati in tantissimi ambiti industriali a partire da quello militare. Ad ogni modo da anni il Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano è scosso da uno scandalo ambientale colossale a causa della ditta che per decenni ha prodotto questi composti: la Miteni di Trissino nell'Ovest vicentino. La fabbrica, oggi fallita, è finita in un processo penale che ha fatto parlare a più riprese i media italiani ed europei.

Ad ogni modo sul piano della emergenza ambientale in una con le ripercussioni sulla salute la situazione rimane tesa e il fronte delle contestazioni rimane caldo. Anzitutto dai territori non starebbero arrivando dati troppo confortanti per quanto riguarda l'adesione da parte dei residenti nella zona arancione (quella in cui la contaminazione è leggermente meno preoccupante di quanto accade nella cosiddetta zona rossa, secondo le autorità regionali l più esposta) ad una campagna di sorveglianza sui livelli di Pfas rilevati nel sangue di chi abita nei comprensori interessati.

CORSA AD OSTACOLI PER LE ANALISI DEL SANGUE
A fornire alcuni esempi in tal senso è il giornalista Luca Fiorin, che sull'Arena del 14 maggio in pagina 23 ha spiegato come nel circondario di San Bonifacio nel Veronese sarebbero sì e no una quarantina le prenotazioni per gli esami. Per i quali peraltro è anche previsto un esborso da chi li chiede pari a novanta euro pro capite. Per una famiglia di quattro persone «l'esborso è di 360 euro. Che non sono pochi. Tant'è che proprio gli attivisti (assieme ad alcuni consiglieri regionali come Andrea Zanoni ad Anna Maria Bigon del Pd, senza contare Cristina Guarda di Ev) sottolineano come il fattore economico, unitamente alla scarsa pubblicità data alla iniziativa dalla Regione Veneto stiano de facto azzoppando la campagna.

IL CASO ADIGE - FRATTA GORZONE
Rimane poi aperta la questione degli scarichi dei depuratori che servono il distretto chimico conciario dell'Ovest Vicentino. Tra Pfas e altri inquinanti quei reflui (convogliati da un tubo collettore gestito dal consorzio Arica) da anni ammorbano il Fratta Gorzone che li riceve a Cologna Veneta in un sito speciale in cui gli stessi reflui, affinché la concentrazione di contaminanti diminuisca, sono diluiti con l'acqua dell'Adige, che giunge per l'appunto sino a Cologna attraverso il canale irriguo Leb. Il fatto che il collettore che giunge a Cologna dal distretto conciario dell'Ovest vicentino venga prolungato più a valle, secondo la galassia ecologista, non fa altro che spostare il problema a valle facendo altresì in modo che la diluizione oggi visibile a occhio nudo «che scandalizza i cittadini» sia occultata nelle tubazioni in costruzione. Questo stato di Cose ha mandato in fibrillazione Perla blu, il circolo colognese di Legambiente.

LA QUERELLE
«Quale miglioramento alla qualità delle acque reflue e di quelle del Fratta, potrà portare la spesa di oltre 13 milioni di euro, si tratta di quattrini pubblici, per il prolungamento del tubo collettore sino a Sabbion, frazione di Cologna?». Questa è la domanda che Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo colognese di Legambiente si è posto in una nota diffusa stamani. Tant'è che, scrive ancora Boscagin, la risposta del sindaco di Cologna Veneta Manuel Scalzotto «è stata disarmante nell'affermare che il miglioramento sarà di ordine visivo in quanto il prolungamento del tubo toglierà dalla vista dei residenti la visione dello scarico delle nere acque reflue provenienti dal tubo collettore, nella perfetta logica del lontano dagli occhi lontano dal cuore. Peccato - scrive Boscagin - che il problema non si risolve nascondendolo alla vista né spostandolo più a valle».

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