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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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«Piemontesi attenti alla Solvay e ai suoi Pfas»

Mentre i gestori del ciclo idrico del Veneto centrale puntano l'indice sulla Miteni finita al centro dello scandalo dei derivati del fluoro un esponente della galassia ambientalista vicentina lancia un monito «ai cugini alessandrini». Poi parla del progetto Giada: usato come «foglia di fico da una parte del mondo industriale e della politica» del comprensorio

Oggi 4 giugno i gestori del ciclo integrato dell'acqua che nel Veneto centrale hanno preso nuovamente posizione sul tema della maxi contaminazione della falda causata dai temibili derivati del fluoro noti come Pfas: composti prodotti dalla trissinese Miteni i cui cicli di lavorazione sono finiti al centro di un maxi processo in corso a Vicenza. I gestori in una nota diramata stamani gli stessi gestori hanno commentato l'esito dell'ultima udienza dello stesso processo che si era tenuta il 26 maggio in Corte d'assise.

Nello specifico a parlare per conto delle società sono gli avvocati Angelo Merlin, Marco Tonellotto e Vittore d'Acquarone che patrocinano Acque del Chiampo, Piacqua, Acquevenete e Acque Veronesi, costituitesi parti civili proprio nel processo Miteni: «Miteni - scrivono i legali nella nota - era a conoscenza della presenza di Pfoa, uno dei composti della famiglia dei Pfas, nelle acque di scarico dell'azienda sin dal 2008 ma non ha informato, come prevedeva la legge, le società idriche di quanto scoperto. Questo - si legge - è uno dei passaggi più importanti emersi durante la testimonianza in aula del maresciallo del Noe di Treviso Manuel Tagliaferri. A quel punto - rimarcano i legali - Miteni avrebbe dovuto intervenire ma non l'ha fatto. All'epoca - si legge ancora - quando vennero effettuate dal privato le analisi di specie era infatti vigente l'articolo 301 del Decreto legislativo 152 del 2006 che obbligava l'operatore economico ad informare senza indugio gli enti competenti in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l'ambiente». E così le considerazioni fatte proprie dai gestori del ciclo idrico riportano a galla una serie di problemi di fatto mai superati. Massimo Follesa, già consigliere comunale a Trissino, uno dei volti più noti della galassia ecologista del Veneto, ai taccuini di Vicenzatoday.it parla proprio della situazione dei gestori dell'acqua. «La compromissione della falda ha deteriorato la risorsa idrica, compromettendo chissà per quanti anni, mi si passi l'espressione un po' yuppie il core business dei gestori stessi. Siccome quelle società sono pubbliche questo aspetto non dovrà mai essere dimenticato e deve costituire anche un monito per gli enti piemontesi che stanno autorizzando o hanno già autorizzato nell'Alessandrino lavorazioni del tutto simili a quelle già autorizzate dagli enti veneti a beneficio della Miteni». Ora il processo riprenderà giovedì 9 giugno sempre con la deposizione dell'investigatore del Noe che ha condotto le indagini sull'inquinamento ambientale tra le province di Vicenza, Verona e Padova. E il fronte ecologista rimane caldo.

Follesa che impressione vi siete fatti dopo l'ultima udienza del processo Pfas?
«Alcuni aspetti gravissimi di questa vicenda erano già noti. Ma siccome il diavolo sta nei dettagli tanto di cappello alla testimonianza del maresciallo Tagliaferri che lo specifico di ogni dettaglio ce lo ha svelato in aula».

Che insegnamento ne ricavate?
«La prima cosa riguarda il futuro della chimica del fluoro. Le stesse sostanze saranno prodotte alla Solvay di Spinetta Marengo ad Alessandria. Ecco quello che è stato riferito in aula deve essere un monito per gli alessandrini: devono trovare il coraggio di dire no alla produzione di Pfas. Perché non ci sono le condizioni generali. È arrivato il momento che i cittadini mettano sulla graticola Regione Piemonte, Provincia e Comune di Alessandria. C'è bisogno di un caso Miteni bis anche in Piemonte? Gli alessandrini dovranno attendere magari tra cinquant'anni il nipote del maresciallo Tagliaferri che scoprirà cose simili a quelle scoperte in valle dell'Agno? Quindi ai nostri cugini putativi ripeto: piemontesi e alessandrini in particolare, attenti alla Solvay e ai suoi Pfas. Alla Regione Piemonte dico: fate attenzione anche voi. Gli enti regionali debbono vigilare: il Veneto dal caso Pfas non è uscito bene».

Architetto Follesa, lei parla di Valle dell'Agno con cognizione di causa perché oltre a far parte del Covepa, una associazione ecologista del territorio, a Trissino il comune della Miteni, lei è stato consigliere municipale. A dibattimento è emerso come alcuni evidenti segnali dell'inquinamento in corso fossero reperibili nel progetto Giada, un progetto coordinato dalla Provincia di Vicenza che attorno al 2010 monitorò la situazione ambientale del distretto Agno-Chiampo. Lei che dice delle evidenze rimarcate dal Noe in aula?
«Era ora che in un'aula di tribunale si facesse chiarezza. Il Progetto giada altro non fu che una iniziativa lodevole, ma un po' limitata, la quale fece emergere luci e ombre sulla situazione ambientale dell'Ovest vicentino soprattutto in relazione all'impatto dell'industria chimica e di quella conciaria sui territori. Un affresco rispetto al quale evidentemente emergeva la necessità di procedere con altri studi, altre verifiche. E invece...».

E invece?
«E invece soprattutto nel cartello sviluppista fatto da pezzi della politica e della imprenditoria qualcuno ha ben pensato che il progetto Giada fosse una foglia di fico con cui ammansire il popolo bue, dicendo che tutto andava bene».

Con quale esito sul piano politico?
«Con l'esito che per anni la concia ha assolto la Miteni e la Miteni ha assolto la concia, fino al punto in cui una contraddizione irriducibile è esplosa».

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