rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Attualità

Così la mafia mosse i primi passi nella notte vicentina

Se il fatto fosse successo qualche anno dopo, l’inchiesta sarebbe finita sulle scrivanie dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia e forse sarebbe stata analizzata in modo diverso

Il caso volle che l’interesse degli inquirenti, che indagarono sul duplice omicidio Fioretto, si focalizzò su un calabrese di Lamezia Terme: Massimiliano Romano, un ventiquattrenne pregiudicato per detenzione di stupefacenti e armi che risiedeva nella Bangkok d’Italia, Verona.  Un sospetto nato dalla somiglianza con l’identikit di uno dei due killer e per quella pistola trovata nei pressi dello stadio Romeo Menti, una  Molgora-Beretta modificata. Quasi un marchio della criminalità organizzata che la usava per la sua maneggevolezza e la sua leggerezza. Una pistola giocattolo messa fuorilegge nel 1989 proprio perché, con qualche modifica, poteva essere usata in modo letale.

Ma Romano non arrivò mai ad essere indagato ufficialmente dal Pm Pecori. Dei sospetti su di lui si seppe solo dopo la morte avvenuta in uno scontro con la polizia a Sommacampagna, dove uccise due agenti. Anche in quel caso si sottovalutò la grana criminale di Romano, quando fu ucciso aveva già alle spalle un periodo di arresti domiciliari concessi per la giovane età e per non avere precedenti gravi. Stava aspettando l’esecuzione di una condanna a oltre sei anni per gli stessi reati: il traffico di stupefacenti e la detenzione di armi. 


Nessun indizio, nessun sospetto che avesse qualche riscontro effettivo. Non servì neanche la taglia di quattrocento milioni di lire, messa a disposizione dal fratello dell’avvocato Fioretto, per avere informazioni su esecutori e mandanti. Tutto scivolò verso l’archiviazione. La Molgora-Beretta, la seconda Beretta trovata nel luogo del delitto, i guanti in lattice e il guanto in pelle non potevano dare nessuna certezza e nessun appiglio per aprire almeno una pista.

Solo nel 2012, grazie agli esami del DNA, il Pm Pecori poté riaprire le indagini dopo che la Squadra Mobile di Vicenza riesumò dagli scatoloni impolverati quel guanto in pelle che poteva contenere residui epiteliali invisibili all’occhio umano. Purtroppo non servì a niente ed escluse in modo definitivo che fosse stato usato da quel Massimiliano Romano che era stato sospettato 21 anni prima. 


Cosa rimane oggi di questa vicenda?

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Così la mafia mosse i primi passi nella notte vicentina

VicenzaToday è in caricamento