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Cybercrime nel Veneto? «Forse 10mila casi»

È questa l'ipotesi, con una incidenza doppia rispetto allo scorso anno, elaborata dall'esperto vicentino Carlo Alberto Sartor che alle telecamere di Vicenzatoday.it compie una digressione ad ampio spettro, mafie incluse, in materia di illeciti digitali: «A rischio soprattutto le piccole imprese»

Per una parte dell'opinione pubblica l'espressione cybercrime viene inevitabilmente affiancata al concetto di cyber bullismo. Per altri invece il concetto che può essere collegato a questo tipo di condotte illecite richiama in primis la pedopornografia scambiata per via elettronica. Poi c'è chi pensa alle truffe agli anziani o agli sprovveduti. In realtà si tratta di un mondo criminale che è vastissimo «di per sè» perché ormai «l'infrastruttura elettronica» avvolge buona parte del nostro vissuto e delle azioni ad esso collegato.

Per Carlo Alberto Sartor, un consulente informatico vicentino ben conosciuto dagli specialisti, uno che con le forze dell'ordine spesso ci lavora fianco a fianco, si dovrebbe trattare di una cosa «più o meno ovvia»: ma l'immaginario collettivo sembra colonizzato in modo differente e sembra presentare una realtà fatta di «compartimenti stagni e pensieri stagni» che poco hanno a che fare con le minacce sia potenziali, sia portate a segno alle quali tutti, persone e imprese, siamo sottoposti.

LO SCALPORE DEL CASO GEOX
Giusto per dare una dimensione del problema gli episodi in qualche modo documentabili «in cui la criminalità informatica ha colpito il Veneto», spiega Sartor alle telecamere di Vicenzatoday, lo scorso anno ammontavano a cinquemila. Secondo l'esperto quest'anno, in piena era Covid-19, i casi potrebbero essere «almeno il doppio»: 10mila casi ossia una trentina al giorno. Un paniere di illeciti dentro al quale ricadono le truffe di piccolo cabotaggio, il bullismo telematico, ma anche le maxi truffe alle imprese di vaglia. Basti pensare al caso della trevigiana Geox.

LA TAGLIA PUÒ FARE LA DIFFERENZA
E se una batosta del genere la può patire un colosso come la nota compagnia di Montebelluna «immaginiamoci che cosa può capitare alle piccole imprese che nel Vicentino come nel resto del Veneto abbondano» che non hanno la pezzatura per dotarsi di risorse interne tali da fronteggiare un fenomeno del genere «che non sempre è oggetto di denuncia da parte dei danneggiati per mille motivi» a partire da quelli legati alla reputazione. «Quello della taglia delle piccole imprese purtroppo è un problema che sussiste tutto e sul quale occorre una seria riflessione» spiega Sartor soprattutto per quello imprese «piccole e molto aggressive sul mercato» che per mille motivi possono essere bersagliate «da hacker, ossia pirati informatici, senza scrupoli» i quali però agiscono sempre in rete con quella categoria che il diritto penale descrive come associazione a delinquere la quale quando si eleva a gruppo operante in pianta stabile diventa crimine organizzato a tutti gli effetti. «Si può essere delinquenti di altissima levatura anche senza la pistola» spiega ancora il consulente: una constatazione che per vero vale non solo per il crimine informatico, ma anche per quello economico o quello legato alla mala gestio nella pubblica amministrazione.

COSCHE DIGITALI A CACCIA DI INFORMAZIONI SENSIBILI
E nel medesimo calderone c'è tuttavia un altro versante che va considerato e che spesso viene sottaciuto. In questo caso si parla di mafie. «Queste ultime da parecchio tempo - spiega Sartor - si servono di attività illecite in ambito informatico per carpire informazioni di ogni tipo, in primis quelle sensibili o riservate». Se la conoscenza è alla base di ogni impresa di successo, quella criminale inclusa, il binomio mafie e cybercrime diventa ancor più preoccupante sostengono gli specialisti, anche in ragione del fatto che le mafie hanno a disposizione risorse inimmaginabili e strumenti di persuasione, se non di coercizione, che forniscono loro un vantaggio competitivo esiziale per chi finisce nel mirino di quel tipo di delinquenza.

Questo filone per vero è stato approfondito a più riprese dai maggiori esperti in campo internazionale compresa una delle compagnie europee più blasonate in materia di sicurezza privata ossia la bavarese Roland Berger. La quale nel 2018 distillava una analisi che ha fatto molto discutere gli addetti ai lavori e nella quale si leggeva che «man mano che il mondo diventa sempre più dipendente dai sistemi di rete sino al limite della soglia critica, le conseguenze della potenziale minaccia del crimine informatico e di altre forme di delinquenza digitale cresceranno in modo esponenziale». L'analisi redatta da Misha Glenny aveva un titolo eloquente: «Il cybercrime sta diventando il nuovo racket della mafia».

I BLITZ CONTRO I CLAN IN TERRA VENETA
Si tratta di uno scenario che da tempo desta preoccupazione anche tra le forse dell'ordine del Nordest. Il Veneto da mesi è interessato da una serie di blitz antimafia al margine dei quali magistrati e forze dell'ordine ripetono sempre lo stesso refrain: in periodi di crisi economica come questa, anche esacerbata dalle conseguenze della epidemia da Covid-19, le mafie usano la sovrabbondanza di denaro sporco per acquisire in modo vampiresco imprese sane o più ancora in difficoltà. Uno dei sistemi con cui i camorristi, 'ndranghetisti e uomini di con nostra, avvicinano gli imprenditori è quello che fa riferimento ad una serie di professionisti e colletti bianchi, alle volte organici coi sodalizi criminali, alle volte contigui, i quali in forza delle informazioni in loro possesso fungono da interfaccia tra le organizzazioni e le attività economiche. Sapere, nelle vicende recenti che hanno interessato il Veneto, se quel tipo di informazioni arrivino dalle sole conoscenze professionali di quei colletti bianchi o anche da una attività di pesca informatica illecita ad ampio spettro dai tanti database riservati di cui è fatto il cyberspazio questo potranno dirlo solo le inchieste o eventuali le testimonianze dirette.

GUARDA LA VIDEO-INTERVISTA A CARLO ALBERTO SARTOR

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