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«Caporalato alle Fonti di Posina? Non è un caso isolato»

Rifondazione e sindacati protestano in piazza per lo scandalo che tra malversazioni varie ha interessato lo stabilimento dell'Alto vicentino: ora l'indice è puntato sulla pratica dei subappalti e sui limiti «del capitalismo»

«Quello che è successo alla Fonti di Posina spa è inaccettabile. Non solo la magistratura dovrà fare chiarezza sulla vicenda penale, ma bisogna dire no al caporalato e allo sfruttamento sui lavoratori facendo in modo che la legge non consenta più le zone d'ombra e non permetta più i sub-appalti che sono alla base delle angherie sui più deboli». È questo il coro unanime che si è levato ieri 16 gennaio durante il presidio voluto da Rifondazione comunista davanti al municipio di Posina. Il sit-in, cui hanno aderito anche il sindacato Usb e il sindacato Flai-Cgil, per un totale di una cinquantina di persone arriva a pochi giorni dallo scandalo deflagrato nello stabilimento delle acque minerali del piccolo paese dell'Alto vicentino. Sul quale da mesi c'è una inchiesta in corso per sfruttamento della manodopera e altre malversazioni sulle quali sta cercando di fare chiarezza la magistratura berica.

LA NOTIZIA
La notizia aveva fatto capolino sui media regionali il 12 gennaio destando sconcerto soprattutto nei sindacati. Nonostante la società abbia messo le mani avanti dichiarandosi estranea ai fatti (come ricorda Vicenzatoday.it ancora il 12 gennaio ) la cosa non ha calmato gli animi nelle organizzazioni dei lavoratori.

Tra i primi a intervenire c'era stato Giosuè Mattei, segretario veneto di Flai-Cgil il quale all'agenzia Lineanews.it aveva rilasciato una dichiarazione di fuoco: «È raccapricciante il quadro emerso dalle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Vicenza e Schio presso lo stabilimento Fonti di Posina Spa... I reati contestati fanno emergere uno spaccato della situazione lavorativa dei dipendenti della cooperativa a cui era affidato, in appalto, la logistica e il magazzino non degno di un paese civile». Adesso peraltro a vario titolo sono indagati Matteo Frugani, presidente del cda della società; Simone Figini, direttore di stabilimento e Mauro Ippolito responsabile del magazzino. Sarebbe indagato anche il moldavo Anatolie Cracan. Per lui l'accusa sarebbe quella di essere il presunto caporale attraverso la cui condotta sarebbe passato lo sfruttamento dei dipendenti della cooperativa che operava per conto della società di Posina.

LA REAZIONE
Ad ogni modo la reazione della sinistra berica ieri è stata veemente. «A noi non interessa solo il caso Posina, a noi interessa denunciare le condotte di sfruttamento che sono diventate un sistema a partire da quanto accade nell'operoso Veneto del governatore leghista Luca Zaia». Queste sono le parole di Roberto Fogagnoli, segretario di Rifondazione comunista per la provincia berica. Il quale più volte ieri da un podio improvvisato davanti al municipio di Posina ha invitato le istituzioni a far sentire la propria voce spiegando peraltro come situazioni del genere siano «i frutti avvelenati del capitalismo» . In questo frangente ieri non sono stati meno teneri Germano Raniero, segretario veneto del sindacato indipendente Usb, nonché Stefano Menegazzo, segretario berico di Flai-Cgil. Nei giorni passati anche il Pd, sia il gruppo regionale sia gli esponenti del Vicentino avevano commentato con sdegno i fatti.

QUESTIONE DI FONDO
Tuttavia ora al di là degli aspetti giudiziari della singola vicenda il nodo dei sub-appalti rimane centrale. «Fonti di Posina spa - spiega Raniero del sindacato Usb - non è una dittarella qualunque. Fa capo ad uno dei colossi italiani del settore beverage, ossia il Gruppo Montecristo. Queste realtà che conoscono bene i problemi della logistica e non solo perché non assumono direttamente il personale? La scelta del subappalto è stata voluta non è giunta per caso. Non si possono aumentare i profitti sulle spalle dei lavoratori».

ROVETO SOCIETARIO
Ma come è strutturato l'assetto proprietario della società di Posina? Dai documenti depositati alla Camera di commercio di Vicenza la famiglia del presidente Frugani risulta essere in possesso di un pacchetto di minoranza della spa. La quale è invece controllata dal gruppo lucchese Montecristo che detiene anche il pacchetto di controllo dell'acqua San Bernardo, un altro marchio assai noto nel Paese. Montecristo srl a sua volta è controllata da un'altra società a responsabilità limitata ovvero la Agamennone. Nell'azionariato della quale sono presenti Antonio, Edoardo e Emanuele Biella (noti come i signori lombardi delle acque minerali) che con un 30% ciascheduno controllano appunto Agamennone che è la società che a sua volta detiene il 51% di Montecristo. Il cui 49% però, ossia una quota di minoranza ma per nulla insignificante è a sua volta, una sorta di gioco di scatole cinesi, nelle mani di GiCo srl, di Widar Eurofid spa nonché di Cabel holding spa.

LO SCENARIO
Tra gli aspetti che sono al vaglio degli investigatori ce n'è pure uno che riguarda le modalità, ovviamente illecite, con cui gli operai moldavi sarebbero stati fatti figurare come cittadini romeni. Si tratta di un particolare non di poco conto perché i romeni sono appartenenti alla Ue e non hanno bisogno, a differenza dei moldavi, di permessi particolari per lavorare in Italia. Negli ambiteti investigativi si sarebbe parlato di un poliziotto (italiano o straniero non è chiaro) che avrebbe contribuito a fornire le identità falsificate ai moldavi impiegati per mezzo di una cooperativa lombarda proprio nell'impianto dell'Alto vicentino. Spetterà a questo punto agli investigatori capire se su questo fronte possa esserci un eventuale parallelismo con l'operazione Valverde che nel 2014 portò all'arresto di trentacinque persone nella provincia scaligera. «Droga, omicidi, tratta di esseri umani, armi, estorsioni: le mani della mafia moldava in città». Questo fu il titolo con cui Veronasera.it otto anni fa diede una notizia che fece il giro del Paese.

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