Vicenza, l'analisi di Alberto Belloni sulla cessione
Giunti al game over, un po’ di riconoscenza a chi esce ora di scena: senza il loro intervento forse il Lane non ci sarebbe più. Farà meglio ora la finanziaria arabolussemburghese che fa capo alla famiglia Al Mansour?
E così la Lanenovela è giunta (Sanfilippo permettendo) al suo ultimo atto. Si è chiusa con una conferenza stampa congiunta che, al netto delle moine e del solito balletto di buone intenzioni, mette la parola fine a mesi di cosmiche incertezze ma non proprio a tutti gli interrogativi disseminati qua e là lungo una vicenda a tratti grottesca.
Franchetto, tra un mea culpa e un sussulto d’orgoglio per aver salvato la baracca in momenti oscuri, ha provato a raccontare la sua verità, tenendo a smarcarsi prima di tutto da una gestione Cassingena che, come ha sottolineato, non è mai stata nel suo DNA. Bene ha fatto a precisarlo, viste le molte critiche ricevute su questo terreno. Tuttavia, peccati originali e salvataggi a parte, solo un cieco può non aver riconosciuto il lungo filo nero che ha legato in termini di risultati sportivi il Gruppo SISA (retrocessioni a ripetizione, avventurosi ripescaggi, debiti alle stelle), a ViFin 1 (altra retrocessione, con finale di libri contabili pronti a varcare la soglia del Tribunale), a ViFin 2 (che consegna ai nuovi proprietari un Vicenza in Terza Serie, quasi in zona Play Out ed in pieno marasma tecnico e psicologico).
L’amarcord da aprile fino ad oggi ha confermato infatti molte cose già risapute ma aggiunto anche qualche particolare meno noto.