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Il punto di Alberto Belloni: ripartenza, speranza vera o grande bugia?

Prove tecniche di ripartenza? Secondo le notizie raccolte in questi giorni, l’idea dei “padroni del vapore” sarebbe di accendere i motori del calcio il 4 maggio, almeno per la serie A (B e C potrebbero attendere di più)

Il Comitato Tecnico Scientifico attivato dalla FIGC ha indicato una serie di tappe attraverso cui chiudere il lock down e far partire gli allenamenti dal 4 maggio. Tutto chiaro? Un par di palle. Perché il “percorso di sicurezza” attraverso cui si dovrebbe garantire questo riavvio morbido e controllato non solo non è chiaro, ma per molti difficilmente realizzabile. Per prima cosa questa ipotesi (nelle parole del ministro Spatafora) dovrebbe essere ancorata a regole che le autorità sanitarie e il mondo tecnico scientifico non hanno ancora acclarato.

Come tutti i lettori avranno notato seguendo i dibattiti in tv e sulla stampa, i cosiddetti esperti non sono neanche d’accordo tra loro. Inoltre, questa operazione di “ritiro permanente” attraverso cui le squadre dovrebbero prepararsi ad affrontare le partite vere, non è delineato né circa i contorni né circa i contenuti. Alla fine del Dcpm, ci assicurano, vi sarà un primo periodo di 3 o 4 giorni durante il quale i gruppi squadra (ristretti, ma quanto?) si dovranno sottoporre ad una verifica con alcuni step (controllo della temperatura, visita di idoneità, tamponi e test sierologici). Peccato, dico io, che i controlli sul sangue per il COVID non siano ancora stati certificati… C’è poi la questione dei controlli sui centri sportivi di allenamento, che è anche, ma non solo, un problema di sanificazione continua e verificata.

A carico di bilanci che definire esausti (soprattutto in Terza Serie) è davvero un eufemismo. Non siamo ingenui, capiamo benissimo che il vulnus dello sport riguarda solo la serie A e gli incontri internazionali, cioè i rubinetti del flusso di denaro. Ma la stessa UEFA è stata categorica, nelle parole del suo presidente Infantino (“Nessuna partita, nessun campionato, vale il rischio di una sola vita umana.”). Diciamo pure, però, che alla fine la logica del business si imponga. Resta il problema dei tempi tecnici, di cui qui abbiamo spesso parlato. Dopo la fase delle verifiche fisiche, quanto tempo ci vorrà per rimettere i giocatori in condizioni di affrontare lo stress del campionato, considerando che fatica concentrata significa abbassamento delle difese immunitarie? Badate, qui si parla di giocare tre partite la settimana. Un paragone equilibrato che possiamo fare è quello con la ripresa dell’attività dopo la normale pausa estiva. In questo caso, si sa, la preparazione prevede inizialmente pesanti carichi di lavoro.

Si tratta, com’è noto, di un mese nel quale, per ragioni fisiologiche e di stress, si concentrano i maggiori rischi di infortuni della stagione. Cosa potrebbe avvenire, dunque, nell’ansia di accelerare il “go” del Grande Circo? Sentiamo un po’ che ne dice un grande esperto di pallone, come Claudio Ranieri, allenatore della Sampdoria: “Tra i miei c’è un giocatore che è stato dichiarato prima positivo e poi negativo. Ha ripreso leggermente ad allenarsi ed è tornato positivo. Bisogna starci veramente attenti. Ho letto che potrebbero esserci rischi al cuore: i giocatori sono come macchine da Formula 1, devono essere idonei al 100%. I dottori devono mettersi d’accordo su quello che bisogna fare. Quanto alla ripresa, credo possano essere stravolti i risultati tecnici perché dopo tanta inattività, c’è chi partirà meglio, chi peggio. Sarà per me un campionato falsato in quanto non c’è stata la regolarità consueta. Qualsiasi decisione sarà presa, si resterà nel caos…”

Facendo due calcoli prudenziali, il ritorno in campo non può avvenire per la massima serie prima della metà di giugno. Per la B e soprattutto la C, anche successivamente. E si ripartirà, a quanto risulta, con le semifinali di Coppa Italia e coi recuperi. Giocando dove? Anche al Nord? Magari a Bergamo e Brescia, dove avranno appena finito (forse) di contare le bare? Pure in questo caso, prima di dire che entro metà agosto si potrebbe chiudere il tabellone del calcio professionistico, meglio rileggere quanto ha appena dichiarato Paolo Maldini, il quale il virus se l’è preso davvero e sa dunque di cosa parlare: “Quando sono stato dichiarato guarito sono andato subito in palestra, ma dopo 10 minuti ero morto.” Normale, no? Per tutti salvo che per quelli che considerano indispensabile riaccendere la slot machine. Non è che non li capisca, intendiamoci. Fermare tutto, congelare, rinunciare ai verdetti sul campo, ha un prezzo che qualcuno non pagherebbe e qualcuno sì. Cosa faremmo se di fronte a questo rebus ci chiamassimo che so, Lazio o Napoli in serie A oppure semplicemente Reggiana e Carpi dalle nostre parti? La mia previsione è che, comunque, vincerà la logica dello “show must go home”… In qualche modo si troveranno gli escamotages per il fischio d’inizio. Quel che succederà poi, però, non è oggi prevedibile. Un salto nel buio che abbisogna di tanta, tanta fiducia.

Un’ultima considerazione. Gli organi scientifici, dall’OMS fino all’ultimo dei virologi, ci ammoniscono che del COVID non ci libereremo tanto facilmente e che, almeno fino a dicembre, la nostra vita sarà segnata da guanti, mascherine, visiere, camici, lagrime e stridor di denti. Ma ve lo vedete voi un calcio che si eleva dal sacrificio generale, garantendo sicurezza, distanziamento sociale e inibizione ai contagi in tutta la sua attività? Gli stadi potranno pure essere vuoti ma non è soltanto una questione di precauzioni e di profilassi ma soprattutto una questione di cultura e di etica. O no?

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