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Cronaca

Vicenza, picchiò la compagna minorenne incinta anche in pubblico: condannato

A.E., un albanese di 24 anni residente in città è stato condannato a sei anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per maltrattamenti e lesioni volontarie aggravate ai danni della compagna, minorenne all'epoca dei fatti

Sei anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. È questa la sentenza emessa martedì mattina dal tribunale di Vicenza nei confronti di A.E., un albanese di 24 anni residente in città, difeso dagli avvocati Zagonel e Pinelli, e attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Vicenza. Il giovane era imputato di maltrattamenti e lesioni volontarie aggravate. Una vicenda dai lati oscuri e un vero proprio incubo familiare per B.S. , la sua convivente diciottenne, ma minorenne all'epoca dei fatti e mamma da otto mesi.

L'albanese, che già aveva a suo carico un lungo elenco di precedenti penali, era stato arrestato in flagranza di reato lo scorso luglio per un episodio di violenza all'interno dello sportello immigrazione. La ragazza, anche lei albanese, in fila con in braccio la figlia per ottenere dei documenti, è stata raggiunta dall'uomo il quale, dopo averle tolto la bambina, ha cominciato a picchiarla a terra con pugni e calci, provocandole ferite e contusioni al volto. Precedentemente l'albanese è stato protagonista di un altro episodio che aveva anche visto l'intervento, in difesa della convivente maltrattata, di una consigliera comunale di Creazzo. Il fatto era avvenuto nel gennaio 2016 in Contrà del Pozzetto. Durante una lite l'uomo avrebbe preso per i capelli la giovane e pestata in viso, frantumandole i denti.

Le accuse mosse dalla procura attraverso il pubblico ministero dottoressa La Placa, contenevano una sfilza di episodi e un quadro di un incubo famigliare dai toni cupissimi quali, si legge nel verbale: “reiterate manifestazioni di aggressività fisica e psicologica, con umiliazioni, offese e minacce, anche di morte, con schiaffi e altre percosse”. I riferimenti dell'accusa parlavano di un soggetto che spesso tornava a casa in preda ad eccessi di gelosia. È riportato nel documento di accusa che l'albanese rientrava a casa con offese pesanti e frasi del tipo: “Dimmi il nome di chi è stato qui al posto mio”; e che alla risposta della compagna di non aver fatto nulla seguivano le botte.

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