Rosà, truffa sull'eredità, condannati due preti

Condannati due preti, avrebbero truffato un fedele per oltre 40 mila euro.  Quando padre B.M. 75 anni di Padova, aveva raccontato all'insegnate trentino di una grosso lascito di una contessa romana di 200 mila euro bloccato perchè la curia non aveva i soldi per le spese notarili, lui, molto credente e attivo in parrocchia, non aveva esitato consegnando al don 40 mila euro in prestito. 

I soldi sono stati incassati in parte dallo stesso padre e in parte, tramite dei vaglia postali, da un altro prelato, monsignor G. S., 78 anni, di Rosà, mentre l'insegnate non li ha mai riavuti indietro. Il caso è finito in tribunale: i due religiosi sono stati condannati a un anno e nove mesi di carcere ciascuno per truffa pluriaggravata in concorso.

Come riportato da diversi articoli di stampa, in aula la storia dell'eredità si è rivelata essere una banale menzogna. L'insegnate, che aveva conosciuto il prelato padovano durante le attività parrocchiali a Trento, nel 2010, anno del raggiro, non vedeva più il don da tempo a causa del suo trasferimento in un altra diocesi, ma quando l'appartente al clero lo avevano agganciato si era affidato senza mostrare alcun dubbio. Entrambi i preti infatti avevano credenziali intoccabili: il vicentino era stato a capo dell'ufficio della Congregazione dei vescovi in Vaticano, mentre il padovano, è superiore del convento dei canossiani di Monfumo

L'indagine della polizia è stata complessa, anche perché l'insegnate 55enne trentino non aveva mai avuto incontri con il prete vicentino, conosciuto solo di nome. 17 firme in altrettante ricevute inchiodano, però, anche il monsignore.