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Cronaca Trissino

Pfas, sangue contaminato anche a Trissino centro

L’indiscrezione è emersa a Cologna veneta a margine di un incontro dedicato al caso Pfas durante il quale un dirigente regionale ha anche spiegato che la bonifica della Miteni si farà «smantellando l’impianto»

La bonifica del sito della Miteni «va effettuata con tutti i crismi» rimuovendo gli impianti e il terreno sottostante l’industria trissinese. Lo ha spiegato Nicola Dell’Acqua, massimo dirigente della Regione Veneto in materia ambientale durante un convegno dedicato al caso Pfas organizzato ieri a Cologna veneta. Intanto però si moltiplicano i timori perché la contaminazione avrebbe pesantemente colpito anche alcuni residenti del centro di Trissino. È la prima volta che emerge una circostanza del genere.

L’INCONTRO

Ieri al teatro civico di Cologna nel Veronese, uno dei centri più colpiti dalla contaminazione da derivati del fluoro addebitata alla trissinese Miteni si sono dati appuntamento per un convegno Legambiente, il Circolo ambientalista Perla blu, il Coordinamento mamme NoPfas, il Coordinamento acqua bene comuni supportati da altre associazioni e reti civiche della galassia ecologista veneta. Attorno al tavolo si sono seduti Dell’Acqua, direttore dell’area tutela territorio della Regione Veneto assieme a Piergiorgio Boscagin, presidente di Legambiente Cologna.

RISCHI? NON SOLO FLUORO: «CI SONO ANCHE ANCHE CONCIA E FIS»

Quest’ultimo ha fatto un lungo excursus della battaglia portata avanti dalla sua associazione assieme a tutti gli altri coordinamenti ecologisti rilevando che all’inizio il caso dei pericolosi derivati del fluoro, «i temutissimi Pfas», era stato pesantemente sottovalutato da diversi organi regionali anche a livello politico. Boscagin al contempo però ha parlato «della pesante pressione ambientale sulle falde e sul bacino del Fratta Gorzone dovuta al polo conciario e a quello delle industrie chimiche dell’Ovest vicentino. Una pressione di cui palazzo Balbi prima o poi dovrà occuparsi in modo assai più approfondito». In questo contesto durante la serata sono stati fatti non solo i nomi delle concerie ma anche quello della Zambon di Lonigo e della Fis di Montecchio Maggiore. Durante la serata è intervenuto anche il moderatore, Luca Fiorin, giornalista de L’Arena, il quale in più occasioni ha rilevato «quanto delicato sia l’assetto ambientale della falda di Almisano» che Dell’Acqua più volte ha dato per compomessa.

«INTERVENTO A REGOLA D’ARTE»

Dell’Acqua dal canto suo poi ha parlato della bonifica spiegando che l’unico modo per rimuovere la fonte dell’inquinamento che da anni a causa della Miteni ha colpito la falda di Almisano e il bacino idrografico afferente è quello di rimuovere gli impianti della Miteni e di rimuovere il terreno sottostante. «Serve un intervento a regola d’arte» ha precisato il direttore il quale ha anche precisato che a dire l’ultima in materia di bonifica e dei relativi costi che questa comporta dovrà essere «l’autorità giudiziaria» anche in relazione al fatto che al riguardo da tempo è in corso una inchiesta della procura berica che pare essere in dirittura d’arrivo. Mancherebbe poco infatti al giro di boa costituito da un eventuale parere del giudice delle indagini preliminari. Il quale dovrà decidere se l’inchiesta sfocerà o meno in un processo.

RADIOGRAFIA DEL SOTTOSUOLO MALATO

Sempre Dell’Acqua ha spiegato che in questi giorni è stata depositata in Regione una perizia del professore Giampietro Beretta del Politecnico di Milano, di cui si era già parlato in settembre (https://www.vicenzatoday.it/cronaca/pfas-aggiornamenti-documenti-bonifica- multa.html). Periziache dovrebbe fornire la premessa per procedere con le operazioni di bonifica. L’uscita di Dell’Acqua per vero ha lasciato dubbiose non poche persone tra i presenti (un’ottantina di persone): in primis perché da quanto è dato sapere, lo studio non è ancora di dominio pubblico, in secundis perché gli enti non hanno proceduto ad una radiografia dello stato dell’inquinamento con una serie di perforazioni a maglia strettissima come inizialmente promesso dalla giunta regionale veneta. In realtà questi ultimi si sarebbero accontentati di una serie di scavi e di perforazioni limitati ad alcuni ambiti. Il che non permetterebbe, tra le altre, di valutare con precisione «microscopica» i fattori della contaminazione.

GLI ADDEBITI

Ieri però a Cologna c’era anche il trissinese Massimo Follesa, portavoce del Covepa, una associazione che si batte contro la Pedemontana veneta, superstrada che a Trissino ha dovuto cambiare il suo tracciato proprio perché si temeva che il progetto originario potesse intercettare, peggiorandolo, il pennacchio sotterraneo di inquinamento che si presume sia posizionato sotto i terreni della fabbrica.

«La vulgata cara alla Regione per cui la bonifica può essere imposta al privato, ormai fallito, solo dalla magistratura è una sciocchezza senza fondamento» ha detto Follesa a margine dell’incontro aggiungendo che «solo il cielo sa come sia stato possibile che dalla deflagrazione del caso Pfas nel 2013 nessun ente tra Comune di Trissino, Provincia di Vicenza e Regione Veneto si sia peritato di ordinare una caratterizzazione al millimetro e una bonifica degna di questo nome prima che Miteni portasse i libri in tribunale, palesandosi così lo spettro di una bonifica scaricata sulla collettività».

Follesa però è intervenuto anche per un’altra questione quando ha chiesto che la Regione, la Provincia di Vicenza e il Comune di Trissino si impegnino a chiarire la loro posizione «in relazione alla situazione emersa alla fine dell’estate»  quando si parlò di contaminazione dovuta ai Pfas anche nella parte vecchia di Trissino. Contaminazione che si teme sia ascrivibile in questo caso non alla Miteni, bensì alla sua progenitrice ovvero la Rimar, i cui laboratori in passato furono ospitati presso le scuderia della villa Marzotto e i cui stabili «ancora appartengono a quella proprietà» la quale per legge dovrebbe assumersi eventuali oneri di bonifica.

I TIMORI PER LA SALUTE IN VALLE DELL’AGNO

Ma in relazione alla contaminazione rilevata a Trissino centro, o meglio attorno alla parte alta del paese dell’Ovest vicentino, preoccupa non solo l’aspetto ambientale ma, ed è una novità assoluta, anche quello sanitario. Secondo alcune indiscrezioni trapelate ieri a margine dell’incontro di Cologna pare che alcuni trissinesi originari della zona di Sant’Antonio, che appunto si trova alle pendici della collina in cui negli anni Sessanta si insediò la Rimar, abbiano fatto analizzare il loro sangue. Le concentrazioni di Pfas rilevate sarebbero più alte di quelle dei residenti nella cosiddetta zona rossa nei comuni del Veronese, del Vicentino e del Padovano, tanto che i livelli riscontrati sarebbero paragonabili a quelli registrati nei dipendenti: i quali per ovvie ragioni negli anni sono stati soggetti a ben altre esposizioni.

La novità, che emerge per la prima volta in questi termini, potrebbe creare inquietudine nel piccolo centro della valle dell’Agno giacché gli abitanti hanno sempre ritenuto, a torto o a ragione, che i contaminati si trovassero a valle e non nel comune che ospita la Miteni: motivo per cui la Regione non aveva inserito Trissino tra le priorità dello screening sanitario per la contaminazione da derivati del fluoro.

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