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Cronaca

'Ndrangheta nel Vicentino, boss arrestato a Lonigo

Ad essere disarticolata è stata la famiglia "Multari". Le indagini sono state avviate nel 2017, condotte dalla Procura distrettuale antimafia di Venezia, e hanno permesso di ricostruire un ampio spettro di attività criminali, commesse da un nucleo familiare trasferitori nel Veronese da oltre 30 anni

Il modus operandi è parso sin dal principio di chiara impostazione mafiosa. Estorsioni, violenze e minacce, trasferimenti fraudolenti di valori, incendi, minacce e tentate frodi processuali.

Nelle prime ore di martedì, i carabinieri del Ros, supportati dai comandi provinciali di Venezia, Verona, Vicenza, Treviso, Ancona, Genova e Crotone, hanno eseguito 20 perquisizioni e 7 provvedimenti cautelari, di cui 5 in carcere e 2 ai domiciliari, a carico di 15 persone. Focus dell'indagine è stata la famiglia cutrese dei Multari, legata alla cosca della 'ndrina Grande Aracri di Cutro e composta dai fratelli Carmine, Fortunato, Domenico e dai figli di quest'ultimo, Antonio e Alberto. I reati imputati, come specificato dal procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi, documentano per la prima volta in Veneto l'operatività di un gruppo criminale a connotazione mafiosa in stretto contatto con gli imprenditori locali. Tra gli arrestati figura anche un imprenditore veneziano impegnato nel ramo della nautica.

A Lonigo è stato arrestato Carmine Multari fratello di Domenico. Sempre a Lonigo sono state effettuate due perquisizioni a carico di due professionisti di quel centro

Sono stati due i principali tronconi d'indagine, avviati nel 2017 dalla Procura distrettuale antimafia di Venezia, che hanno portato alla disarticolazione della famiglia Multari. Il primo filone è relativo alla procedura di vendita all'asta di due abitazioni di Domenico Multari, oggetto di procedura fallimentare. In entrambe le circostanze le aste sono andate deserte e il clan è riuscito ad intestare i beni a corrèi o prestanome.

Il secondo troncone è partito dall'incendio dello yacht "Terry", ormeggiato in Sardegna, nel porto di Alghero (Sassari). Il natante era stato venduto da un imprenditore del settore nautico veneziano con gravi vizi strutturali e divenuto quindi oggetto di contenzioso con l'acquirente. Il venditore, per non consentire l'esecuzione delle perizie del caso sul natante, avrebbe dato mandato ad un malavitoso calabrese di incendiare lo yacht. Dopo un primo tentativo, che aveva portato solo parzialmente alla sua distruzione, l'intervento dei carabinieri aveva impedito la reiterazione del reato. A ciò si aggiunge tutta una serie di singole dinamiche, a volte senza alcuna rilevanza penale, che hanno permesso agli inquirenti di ravvisare  «un chiaro modus agendi di stampo mafioso».

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