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Cronaca Trissino

GenX: l’estate bollente della Miteni

Il ritrovamento di un’altra sostanza cugina dei Pfas nelle falde dell’Ovest vicentino incendia gli animi. Ma c’è chi punta il dito ancora più in alto e guarda ai regolatori

Dopo la deflagrazione del caso GenX nell'ambito più ampio della vicenda Pfas i social network si sono trasformati, come spesso accade, in un ring in cui i sostenitori dell'una piuttosto che dell'altra posizione se le dicono di santa ragione. In queste ore gli animi si sono surriscaldati ma c'è chi come il dottor Vincenzo Cordiano, uno dei medici che per primi denunciò la contaminazione da derivati del fluoro nel Veneto centrale, invita tutti a mantenere la mente fredda puntando l'indice anche sulle agenzie internazionali colpevoli di non avere normato la materia in modo adeguato.

IL PRELUDIO E LE REAZIONI

Quando alcuni giorni fa i media hanno dato la notizia che nelle falde attorno al comune di Trissino nel vicentino sono stati trovate rinvenute tracce in svariate quantità di GenX, una sostanza cugina dei temibili Pfas, responsabili secondo Arpav di una contaminazione che interessa il Padovano, il Vicentino e il Veronese, il caso è tornato ad essere di attualità. Non solo per la protesta delle mamme No pfas davanti la procura berica perché sia più incisiva nelle indagini già in corso. Non solo per la decisione della Provincia di Vicenza di bloccare presso lo stabilimento della Miteni a Trissino la produzione del GenX. Ma anche perché alcuni comitati hanno tornato a battere i pugni sul tavolo. «Ci vorrebbe una campagna di analisi del sangue anche per i trissinesi...» ha spiegato ieri sulla pagina Facebook del gruppo Acqua bene comune e libera dai pfas Antonella Zarantonello, coordinatrice del gruppo. Mentre un altro gruppo riferibile a Legambiente, all'Isde e a altri soggetti sul territorio sempre ieri puntava l'indice sulla Regione Veneto: «Riteniamo grave che gli uffici preposti abbiano rilasciato l'autorizzazione nel 2014 quando già dall'estate del 2013 era conosciuto l'inquinamento da Pfas della falda acquifera sempre da parte della Miteni».

PARLA L'AZIENDA

In questo senso non va dimenticata la posizione ufficiale dell'azienda che con una nota del 6 luglio precisava che «la molecola in questione, la Frd, è una molecola studiata per non accumularsi nell'organismo umano. La lavorazione consiste nella rigenerazione della molecola di tensioattivo che viene riconsegnata integralmente al cliente. Non c'è nessuna autorizzazione a sversare alcunché. La Regione ha autorizzato la lavorazione, tra cui il processo di trattamento delle acque che ha dimostrato la sua efficacia nell'abbattimento delle emissioni. Miteni come previsto dell'Autorizzazione integrata ambientale già invia ogni anno alla Regione Veneto l'elenco completo delle sostanze che produce con le quantità di materiale in ingresso e di materiale prodotto».

LA BOMBA DEL DOTTOR CORDIANO

Tuttavia il più duro di tutti in questi giorni è stato il dottor Vincenzo Cordiano, il medico valdagnese che tra i primi denunciò l'affair Miteni. Con un intervento sul suo blog che porta la data dell'8 luglio, Cordiano ha distillato un vero e proprio j'accuse nel quale in buona sostanza spiega che c'è un retroscena poco chiaro nell'ambito della vicenda che ha portato i media a rivelare la presenza del cosiddetto GenX nelle falde attorno alla Miteni. Per il medico non convince il modo con cui sia stato additato «al pubblico ludibrio» il dirigente regionale Alessandro Benassi che assieme ad altri enti avrebbe rilasciato la Miteni a lavorare per conto terzi gli scarti dello stesso GenX, una sostanza venuta dall'Olanda. Che con ogni probabilità proviene dalla multinazionale DuPont. «Probabilmente - ipotizza il medico - la diffusione della notizia del ritrovamento del GenX è foriera del licenziamento di quel dirigente che potrebbe non essere più gradito ai suoi referenti politici che l’hanno nominato».

PAROLE PESANTI

Le parole di Cordiano (in foto a sinistra) pesano due volte non solo perché di mestiere fa l'ematologo. Ma soprattutto perché Cordiano è il presidente regionale di Isde, la prestigiosa associazione dei medici dell'ambiente riconosciuta a livello internazionale. Infatti è la prima volta che dalla deflagrazione del caso GenX si accende un fanale nei confronti della società produttrice.

SOSTANZA TEMIBILE

Il ragionamento di Cordiano sul GenX, nome commerciale registrato appunto dalla multinazionale DuPont di una famiglia di prodotti gergalmente conosciuta con il nome generico di Frd, è molto preciso. Stando ad uno studio recente dell'Oecd «il GenX è uno dei 4730 composti della famiglia dei Pfas ufficialmente riconosciuti giustappunto dall'Oecd», ovvero la organizzazione internazionale per la cooperazione economica e lo sviluppo. «Fu introdotto - prosegue Cordiano - qualche anno fa dalla DuPont per il sostituire il Pfoa nel processo di produzione delle pellicole antiaderenti al Teflon da applicare sulle pentole e di numerosi altri prodotti di consumo e utilizzo quotidiano. Definito dalla DuPont come dotato di un profilo tossicologico più favorevole in realtà ha le stesse proprietà chimico-fisiche di tutti gli altri Pfas: è tossico, persistente, si accumula negli organismi viventi . Ancor prima che la Epa, la agenzia per l'ambiente statunitense, ne autorizzasse la commercializzazione e la sua cugina del ramo alimentare, la Fda, ne autorizzasse l'utilizzo per i contenitori per alimenti, la DuPont aveva condotto studi negli animali di laboratorio che ne attestavano inequivocabilmente la cancerogenicità. Sappiamo - rincara la dose il medico - che la DuPont inviò fra il 2006 e il 2013 alla agenzia ambientale europea, l'Epa, almeno sedici documenti in cui si descrivono gli effetti tossici osservati negli animali nutriti con GenX: oltre a vari tipi di cancro, anche danni al fegato, alterazioni del colesterolo, basso peso alla nascita ecc. Come si vede sono gli effetti tossici tipici dei Pfas».

Appresso un'altra bordata: «Nonostante fossero a conoscenza della tossicità del GenX, le due agenzie ne hanno autorizzato tranquillamente la produzione e utilizzo. Questo è veramente scandaloso, non la  scoperta che il GenX è arrivato nelle falde di Trissino, immessovi dalla solita Miteni che forse non lo produce, ma tratta i rifiuti contenenti GenX  dell'impianto olandese della Dupont, a quanto pare l'unico a produrre la molecola in Europa... il GenX è - accusa ancora Cordiano - a tutti gli effetti uno degli altri Pfas la cui somma totale non deve superare i 500 nanogrammi per litro secondo i limiti di performance stabiliti in Italia dall'Istituto superiore di sanità». Poi un'altra staffilata nei confronti dei regolatori e del legislatore: «Visto che lorsignori non hanno mai voluto fare le cose seriamente, vale a dire identificare quale unico limite serio lo zero, trovarsi un Pfas in più o in meno... che differenza fa?»

LO SCENARIO

A questo punto sullo sfondo rimane un quesito dirimente. Assodato che la Miteni da anni non produce più la vecchia generazione di Pfas, che è nota per essere finita in gran quantità nelle matrici ambientali del Veneto centrale ed assodato che la società attribuisca alle gestioni riferibili ai soci d'un tempo (Marzotto prima, poi Eni e poi Mitsubishi per semplificare) che cosa si può dire della tossicità delle attuali molecole attualmente prodotte dalla Miteni e gergalmente conosciute come «catena corta»? Arpav e procura della repubblica di Vicenza che da mesi hanno acceso i propri fanali sulla fabbrica di Trissino hanno valutato questa eventualità e come si dovrebbe procedere se i cosiddetti composti a catena corta fossero riscontrati nell'ambiente? Eventuali fuoriuscite, delle quali parla anche Arpav, sono da addebitare ad un impianto colabrodo o a che cos'altro? In questo caso popolazione e maestranze sono a rischio o peggio in pericolo? Come si dovrebbero comportare  gli inquirenti? Che atteggiamento dovrebbero assumere i regolatori italiani e quelli europei?

UNA CHIAVE DI LETTURA

In questo contesto una prima chiave di lettura prova a fornirla lo stesso Cordiano che sempre dalle colonne del suo blog spiega: «Ora parrebbe che la 3M, altra multinazionale famosa per i disastri ambientali causati e per le multe miliardarie che ha dovuto pagare, come la DuPont, negli Stati Uniti, abbia dismesso la produzione di Pfba nel 1998. Ufficialmente perché c'era poca richiesta dal mercato. Si vede che il Pfba della Miteni, che continua a produrlo, è migliore  di quello dell'americana 3M. Ma il motivo potrebbe essere in realtà che il Pfba era stato sversato in quantità enormi nelle falde acquifere sottostanti l'impianto di produzione e la 3M fu costretta ad accollarsi le spese della bonifica».

Si tratta di una lettura che ha una pesante implicazione concettuale con le inchieste in corso: sia con quella penale della procura berica, che indaga per varie ipotesi di reato in ambito ambientale e che al momento sembra aver tralasciato l'aspetto sanitario e sia con quella amministrativa in capo alla Regione.

QUESTIONI IN SOSPESO

Ora se uno dei clienti della Miteni è proprio la DuPont alla quale la fabbrica trissinese, parlando in metafora, lava i panni per riportarli puliti in Olanda, come mai questo processo, con quello che costano i trasporti, non avviene in Benelux? Nel trattamento del GenX in Italia viene in qualche modo prodotto qualche scarto (in chimica non esistono processi a rilascio zero) che nei Paesi Bassi viene vista come indesiderabile e perciò indirizzata in un Paese considerato più elastico in tema di disciplina ambientale? La procura berica ha mai pensato di attivare lo strumento della rogatoria internazionale per verificare chi siano gli effettivi soci stranieri di Miteni? Se non lo ha fatto perché si è preclusa questa strada? Potrebbe essere la rogatoria internazionale lo strumento utile per smascherare chi si sia eventualmente illecitamente arricchito grazie ad una condotta troppo disinvolta in materia di ambientale? È logico domandarsi se tra i soci di Miteni vi possano essere una o più multinazionali che usano la fabbrica Trissinese come una sorta di centrale di risciacquo ecologicamente invasiva?

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