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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca Trissino

Pfas, verso bonifica "mini" per la Miteni

Le parole dell’amministratore delegato della fabbrica al centro dell’affaire Pfas aprono nuovi scenari. Intanto tra mille ritardi la Commissione regionale speciale dovrà re-insediarsi per avere il tempo di redigere la relazione finale

Ma parlando di silenzi c’è un altro silenzio che va preso in considerazione e che in queste settimane si è fatto assordante. Riguarda la commissione speciale Pfas che in seno al consiglio regionale del Veneto è presieduta da un uomo della opposizione, ovvero Manuel Brusco del M5S.

Secondo la norma regionale tale commissione, insediatasi a fine agosto del 2017 avrebbe dovuto finire i suoi lavori e pubblicare una relazione due mesi dopo, vale a dire a fine ottobre. Per motivi straordinari sono previste delle proroghe, ma da quanto emerso in laguna l’unica proroga che Brusco avrebbe accordato l’anno passato avrebbe permesso ai lavori di giungere al massimo alla fine dell’anno.

Come mai dal 31 dicembre non è stata prodotta la relazione finale? Ed è vero che la commissione, forzando in qualche maniera il regolamento, sarà riattivata perché possa completare la sua relazione?

Brusco interpellato al riguardo ha ammesso che effettivamente il consiglio regionale «riattiverà la commissione con lo scopo di approvare la relazione finale». Il consigliere nel frattempo rimarca che a suo giudizio la commissione da lui presieduta avrebbe lavorato «entro i termini di legge» ed è appunto per rispettare la norma regionale che la stessa commissione sarà «riattivata» al fine di permettere appunto la stesura definitiva della relazione.

Brusco però si limita ad una enunciazione di principio, non motivando sul piano giuridico, e nemmeno logico, il suo convincimento. E non è la prima volta che succede perché una situazione del genere si era già verificata nel novembre del 2017 quando lo stesso Brusco non fu in grado di spiegare come mai, in difformità alla norma, i verbali della commissione Pfas fossero stati secretati.

Si tratta di una situazione delicata perché tra i comitati da tempo si sta diffondendo una paura. Quella per cui in realtà la relazione finale non venga diffusa perché qualcuno teme che in quelle carte possano esserci notizie tanto scomode da compromettere la possibilità di completare un iter per la caratterizzazione e la bonifica in qualche maniera sbilanciato verso la Miteni. L’altro timore è che quelle carte, non adeguatamente asciugate, potrebbero, anche indirettamente, costituire j’accuse per quegli organi regionali che negli anni si fossero per ipotesi mostrati inerti.

Questione nazionale

Rimane ora da capire che cosa succederà a livello nazionale: soprattutto per quanto riguarda i limiti relativi ai Pfas attualmente previsti nelle acque profonde, in quelle di superficie, in discarica e negli alimenti. Si tratta per vero, almeno in alcuni casi, di limiti di performance visto che non sempre la norma è strettamente vincolante. Soprattutto non va dimenticato il monito di quei gruppi come il Cillsa i quali ritengono che la diatriba sui limiti sia una mera cortina fumogena poiché gli stessi dovrebbero essere appunto pari a zero.

Ma su questo versante che cosa farà il parlamento appena insediato? Poiché la componente più significativa della attuale maggioranza composta a Roma da M5S e Lega, ovvero la prima, in passato si espresse chiedendo al parlamento «zero Pfas», che cosa succederà a breve termine? Questo orientamento si concretizzerà con una legge che tolga di mezzo l’alea interpretativa che la norma attuale conferisce all’Istituto superiore della sanità?

In questo quadro non va dimenticato che ora proprio il M5S, oltre ad essere il socio di maggioranza della maggioranza parlamentare, si è insediato anche al ministero dell’ambiente, a quello della salute, a quello del lavoro e a quello della giustizia: sono i dicasteri che sovrintendono ad ogni sfaccettatura della vicenda, compreso il rischio occupazionale che i dipendenti stanno tutt’oggi correndo. Il problema pertanto rimane in tutta la sua gravità. Anche perché l’affaire Pfas resta, e resterà a lungo, uno dei casi di inquinamento più spinosi a livello nazionale.

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