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Il Sigillo 13 - Il sigillo

La perseveranza e la sfrontatezza di Ruiz hanno vinto sull'avidità dei sodali della misteriosa organizzazione criminale... O, forse, no

IL SIGILLO

L’Audi di Brizzi arriva a tutta velocità in questura. L’adrenalina accumulata gli ha fatto spingere sull’acceleratore a tavoletta e Savino esce dalla macchina facendosi il segno della croce, ringraziando il cielo di essere sano e salvo. La luce all’ultimo piano è accesa, il questore è ancora in ufficio. Non c’è molto movimento nei corridoi, qualche prostituta fermata e un tossico che aveva dato in escandescenze in un locale. Normale routine. Brizzi cammina veloce ed entra in ogni ufficio della sua sezione, quasi in preda a un’esaltazione artificiale.

Signori, alzate il culo, sveglia. Qualcuno venga da me per aggiornarmi. Dai che se fate i bravi poi vi invito a bere. A spese mie. È Natale domani.

È euforico, arrogante nei modi e nei movimenti mentre osserva i suoi uomini che lo guardano sbigottiti. Non si era mai rivolto con questi toni e in questo modo. Ma Brizzi non percepisce cosa si nasconde dietro a quegli sguardi assenti, agli occhi delusi di quegli agenti che guardano come se fosse un’altra persona. Non riesce a cogliere ciò che sta succedendo, ottenebrato dalla sua superbia e dalla sua sicurezza di essere insospettabile e imprendibile nella sua doppia vita.

Entra nel suo ufficio e si siede sulla sua poltrona. Chiude gli occhi e respira a pieni polmoni l’odore di carta e di tabacco che riempie l’aria. È a casa. È al sicuro. È riuscito a vincere anche questa volta, con il suo potere e la sua intelligenza. Prende il telefono e compone il numero di Morello. Il telefono squilla una, due, tre volte

Si capo

Tutto a posto Morello?

Ti eri perso il telefono?

No no, mi era caduto. Tutto ok. Ora arrivo

Bravo. Ti aspetto.

Sorride. Sorride trionfante mentre si pulisce le scarpe sporche di terra con un fazzoletto. Odia essere in disordine. E odia stare a Vicenza. Si è arricchito a dismisura, si. Ma lui vuole tornare a Roma, con i suoi palazzi, le sue feste dove il potere vero lo può toccare, gli può stringere la mano. Questa è una colonia per Brizzi, anche se lui è il “governatore” di questo avamposto di frontiera. Pensieri interrotti dalla porta che si apre all’improvviso.

Lunardon, che cazzo ci fai qui a quest’ora? Non eri in licenza? E poi bussa cazzo, te l’ho sempre detto

Perché dovrei bussare Brizzi?

Dottor Brizzi. Hai bevuto? Sei ubriaco? Che domande sono?

In quel momento dietro a Lunardon compare la figura di Ruiz. Lo sguardo di Brizzi è gelato da quel volto che pensava ormai sotto a un metro di terra. Le mascelle si stringono. Non vuole e non può ammettere la sconfitta. Vuole giocarsi anche l’ultima carta.

Lunardon cosa ci fa questo giornalista nei nostri uffici, a quest’ora poi?

Brizzi, lascia stare. Non provarci. Abbiamo sentito e registrato tutto. Savino è già stato ammanettato. Voglio evitarti questa prassi ma tua carriera finisce in questo istante. Consegna l’arma e il distintivo. Domani mattina sarai sentito dai magistrati. Inizia a riflettere su una collaborazione. Te lo dico da amico, il Sigillo non ti salverà dalla galera. Aiutati da solo

I magistrati – sussurra Brizzi – Poveri illusi. Siamo ovunque. Noi siamo.

Si alza ed estrae dalla tasca il suo tesserino mentre due agenti lo disarmano e lo portano fuori dal suo ufficio. Ad attenderlo tutti gli uomini della Squadra Mobile, in un cordone umano pieno di disprezzo e delusione. Al suo passaggio il primo agente lascia cadere una moneta per terra verso il loro ex “capo”, un gesto che viene ripetuto da tutti nel silenzio più assoluto. Un silenzio fragoroso, peggio di una sentenza.

Bel lavoro Lunardon e complimenti anche a lei Ruiz – sussurra il questore con tono amareggiato – Avete risolto tre casi di omicidio e chissà quanti altri che non sono mai emersi fino ad ora. Anche se tutto questo ha creato uno scandalo di cui non abbiamo bisogno. Per cui dottor Ruiz, conto nella sua discrezione. La sapremo premiare per questo favore. E la sua ragazza? Debora si chiama se non sbaglio


Guardi, io non sono abituato a sentirmi chiamare dottore, e non lo sono. Io faccio il mio lavoro, lei capirà. Mi sembra di aver già dato tutto il supporto possibile in questa storia, per cui non mi chieda di non fare il mio dovere. Debora sta bene, l’hanno portata in ospedale per dei controlli.

In quel momento la porta si apre e la figura trafelata del dottor Priante, il magistrato di turno, entra con il suo cappotto e la sua borsa in pelle nera.

Questore, voglio sapere subito tutti i dettagli di questa storia. Il capo della Squadra Mobile arrestato? Non sarà che siete scesi troppo velocemente a delle conclusioni? Lei ha presente le telefonate che mi hanno fatto negli ultimi 15 minuti da Roma? Brizzi non è esattamente un dirigente qualunque.

Nessuna conclusione, abbiamo la registrazione di un duplice tentato omicidio e l’ammissione degli altri tre. Oltre alla confessione di uno dei suoi sodali e alla villa di Brizzi in collina. Un posto che assomiglia al ritrovo di una setta di killer. Siamo sicuri che tra le pistole trovate ci siano quelle degli omicidi. È in corso adesso una perquisizione a casa di Brizzi. Nessun errore dottor Priante. Purtroppo.

Mi sembra assurdo. Pistole, omicidi, ville di killer, porte che si aprono girando la testa di un cavallo, droga e corruzione. Sembra un film o un romanzo più che una storia vera. Con il dottor Brizzi in arresto poi. Spero che le prove siano state acquisite in modo regolare.  Sarò attentissimo a ogni dettaglio.

Il magistrato non degna di uno sguardo sia Lunardon e sia Ruiz, mentre continua la sua requisitoria quasi fossero loro i colpevoli.

Scusi dottor Priante, posso farle una domanda?

Ah lei è Ruiz – rispose con tono di disprezzo il magistrato – il reporter. Adesso abbiamo anche i giornalisti che fanno gli investigatori. Mi dica Ruiz, che non si dica che imbavagliamo la stampa

Mi chiedevo come lei sappia della porta che si apre girando la statua di una testa di cavallo. Non l’ho ancora detto a nessuno di come sono entrato nella villa. È singolare

Priante abbassa lo sguardo e cerca il suo orologio da taschino dentro il suo cappotto. Lo apre per controllare l’ora, lo scuote e sospira.

Ruiz, che vorrebbe insinuare? Lo avrò sentito dagli agenti della Mobile prima. Lei lo avrà detto senza neanche accorgersene. Capita dopo stress di un certo tipo.

La voce di Priante si fa più morbida ma tentennante. La sua famosa eloquenza è minata da troppe pause tra una parola e l’altra. Anche il suo sguardo non rimane più dritto verso Ruiz e cerca di sfuggire.

Caro questore, ormai è quasi l’alba e siamo tutti stanchi. Mandatemi tutto il carteggio e le registrazioni domani alle dieci nel mio ufficio.

No, dottor Priante – alzò la voce Ruiz – Non ho detto a nessuno quel particolare. Lunardon è testimone di questo. Risponda alla mia domanda. E mi farebbe vedere quell’orologio per favore?

Il volto di Priante sembra di ghiaccio. Inespressivo. La stanza si riempie di silenzi e sguardi che si incrociano. Il questore si siede sulla sua poltrona, asciugandosi la fronte con un fazzoletto. Secondi che sembrano ore, aspettando una parola, un movimento di chiunque. Tutto sembra immobile fino a quando Priante si avvicina alla finestra guardando il panorama della città.

Signori, non sprecate altro fiato. Io so quando è il momento di lasciare il palcoscenico. Brizzi è stato imprudente e arrogante. Ma voi non potete capire, non potete sapere. Siete piccoli uomini e da piccoli uomini vivete. Noi siamo altro. Siamo il Sigillo e non mi lascerò condannare da nessuno. Noi siamo ovunque. Noi siamo.

Priante con uno scatto apre la finestra e montando sulla stessa si lancia nel vuoto prima che Lunardon lo possa raggiungere per fermarlo. Un volo di oltre dieci metri sul cemento. Ruiz si avvicina alla finestra e raccoglie l’orologio da taschino di Priante: aveva inciso sulla cassa il simbolo del Sigillo. I due serpenti incrociati. La cellula del Sigillo a Vicenza si è spenta.

Sorge l’alba, è Natale Il Canal Grande ha un fascino immenso anche in inverno, pensa Hermes mentre guarda dalla finestra di uno dei suoi palazzi in giro per l’Italia.

Allora è finita come volevamo finisse questa storia caro “Duca”.

Si professore, come lei aveva previsto e fatto succedere. Ha dello stile.

Non è stile. È sopravvivenza. Ormai la cellula di Priante stava creando troppi problemi. La criminalità era stata troppo schiacciata e rischiava di creare una guerra inutile e pericolosa. Anche il tuo ex capo, quello della Mala, stava per collaborare per vendicarsi. Adesso lo farà come va fatto, come e con chi abbiamo deciso noi. In cambio tutti riprenderanno a lavorare con le giuste percentuali e nel silenzio.

Troppo avidi, li avevamo messi in guardia. Potevamo occuparcene noi ma lei ha avuto questa brillante idea. Devo farle i miei complimenti.

Il Sigillo insegna caro “Duca”. Sono decenni di esperienza che portano a giocare a scacchi con gli uomini come Priante e Brizzi, come il tuo amico Ruiz, il questore di Vicenza e anche quel Lunardon. Abbiamo giocato bene e abbiamo vinto. Però dobbiamo stare attenti e sostituire le pedine cadute.

Se vuole questa volta me ne occupo io. Ormai la Mala è finita con il tradimento del boss e quindi sono a disposizione sua e del Sigillo. A tempo pieno.

Si “Duca”, se ne occupi lei. Lei ha fiuto. Come con Ruiz. Lo tenga d’occhio, è un personaggio curioso e intelligente. Due caratteristiche pericolose quando appartengono alla stessa persona.

Sarà fatto professore. Io andrei allora, con il suo permesso.

Vada, vada. E si ricordi una cosa fondamentale: noi siamo ovunque. Noi siamo. Ieri, oggi e domani.

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