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Pfas ancora indiziati, ossa più fragili nei giovani veneti esposti alla contaminazione

È la scoperta del professore Foresta dell'università di Padova il quale illustrerà i risultati di uno studio durante un convegno scientifico: il caso Miteni torna a far discutere gli esperti

«Abbiamo dimostrato che i Pfas inducono un maggior rischio di osteoporosi attraverso l'interferenza dell'azione della vitamina D sui suoi recettori». A parlare in questi termini dei Pfas, i temuti derivati del fluoro usati in moltissimi campi dell'industria, è l'equipe del professore Carlo Foresta, ordinario di endocrinologia all'Università di Padova in una nota diramata questa mattina.

Non si tratta chiaramente di una affermazione estemporanea visto che la squadra di Foresta cita espressamente «Endocrine», rivista scientifica specializzata in endocrinologia clinica, un vero punto di riferimento del settore, la quale appunto di recente ha pubblicato lo studio del team universitario della città del Santo il quale da anni si occupa degli effetti sulla salute dei Pfas, dopo che questi sono finiti al centro «di un maxi caso di contaminazione» che riguarda, almeno potenzialmente 300mila residenti del Veneto centrale. E che vede al centro del contendere la Miteni, una industria chimica di Trissino nel Vicentino, oggi fallita, rimasta peraltro invischiata «in un procedimento penale monstre» che il 21 ottobre finirà in un'aula del tribunale di Vicenza. La vicenda peraltro è finita a più riprese sui media regionali e nazionali. 

IL MONITO
A giudizio di Foresta deve fare riflettere il fatto che «nonostante l'incredibile incremento nell'utilizzo di farmaci per la supplementazione di vitamina D, passati dal 63esimo nel 2012 al sesto posto nel 2018, nella classifica dei farmaci più acquistati in Italia, le patologie correlate a bassi livelli di vitamina D continuano ad aumentare».

IL CONVEGNO E I RISULTATI
Ed è proprio in quest'ottica che il professore parla in maniera esplicita del convegno scientifico che comincia domani a Padova durante il quale il docente e la sua equipe esporranno per la prima volta studi originali riguardanti la relazione tra inquinanti ambientali e vitamina D. Le ricerche condotte dal gruppo di ricerca coordinato da Foresta e guidato dal professor Andrea Di Nisio «hanno dimostrato che i Pfas interferiscono con il recettore della vitamina D, inducendo una ridotta risposta delle cellule scheletriche alla vitamina D stessa, che si manifesta con una minor mineralizzazione ossea. Questi risultati, oltre a chiarire i meccanismi attraverso i quali i Pfas interferiscono con l'attività di questo importante ormone, suggeriscono un possibile ruolo per questi inquinanti nella patogenesi dell'osteoporosi, la principale patologia correlata ai ridotti livelli di vitamina D. A questo scopo, i ricercatori hanno valutato la densità dell'osso in 117 giovani maschi di età compresa tra 18 e 21 anni esposti all'inquinamento da Pfas».

SITUAZIONE PREOCCUPANTE
«Confrontando i risultati con quelli ottenuti in un analogo gruppo di controllo di giovani non esposti a questo inquinamento - continua Foresta - è emerso che negli esposti la densità minerale ossea era significativamente inferiore ai controlli. Questi risultati suggeriscono un'interferenza dei Pfas sullo sviluppo scheletrico, così come altri interferenti endocrini non considerati in questo studio. Nel 24% dei soggetti esposti si osservava infatti una maggior frequenza di osteopenia e osteoporosi, rispetto al solo 10% dei soggetti di controllo».

IL QUADRO NAZIONALE
E ancora, nella nota si legge poi che oltre cinquecento esperti si riuniranno appunto domani 25 settembre a Padova nell'ambito di un convegno presieduto dal professor Foresta «per discutere del frequente riscontro di ridotti livelli di vitamina D in Italia. L'80% della popolazione italiana è carente di vitamina D e sono sempre più evidenti e note le ricadute di questa deficienza non solo come causa della osteoporosi, ma come fattore che associa molte patologie come malattie degenerative, come l'alzheimer, il parkinson, le patologie polmonari e il diabete. La vitamina D per l'80% - si legge nel dispaccio - si forma attraverso l'esposizione al sole ed è contraddittorio che nei paesi mediterranei come l'Italia e la Spagna si sia verificata una condizione generalizzata di ipovitaminosi D».

I TRASCORSI
Tuttavia non è la prima volta che Foresta e la sua squadra si occupano dei derivati del fluoro. Lo scorso anno lo scienziato di Padova fece parlare molto delle ricerche della sua equipe quando spiegò di avere scoperto il meccanismo attraverso il quale i Pfas interferiscono proprio sulla attività ormonale. Era il novembre del 2018 e in quella circostanza Foresta annunciò che il suo gruppo stava lavorando ad un altra importante ricerca. In quell'occasione le forze politiche e le istituzioni regionali accolsero manifestarono il loro apprezzamento per il lavoro dell'Università di Padova spiegando come l'ateneo potesse puntare a diventare un vero centro di riferimento in una materia di questo tipo rispetto alla quale per ammissione dello stesso Foresta «per tutta la comunità scientifica in tutto il mondo c'è ancora moltissimo lavoro da fare rispetto ad un ambito che per molti versi è ancora tutto da esplorare».

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