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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Lavoro al femminile, mobbing e discriminazioni: i ricatti peggiori durante la maternità

Il rapporto della Consigliera di parità della Provincia di Vicenza illustra con storie reali una situazione desolante per l'occupazione femminile. Gli accessi al servizio per consulenze e sostegno in percorsi conciliativi nel 2023 sono stati 14 e i casi presentati 17. Ma è solo la punta dell'iceberg

A Vicenza se si parla di donna e lavoro si parla di discriminazione. È ciò che emerge dall’ultimo rapporto della consigliera di parità della Provincia di Vicenza, Francesca Lazzari. La consigliera di parità, che lavora come volontaria a titolo gratuito, è nominata con decreto del Ministero del lavoro e della Previdenza sociale, di concerto con il Ministero per le Pari Opportunità. Nell’ambito della propria funzione è un pubblico ufficiale e il mandato dura quattro anni. A lei si rivolgono tutte le donne che si trovano in difficoltà con situazioni di mobbing o di prevaricazioni nel mondo del lavoro. Nel 2023 gli accessi al servizio per consulenze e sostegno in percorsi conciliativi sono stati 14 e i casi presentati 17. Sono storie di lavoro al femminile indicative di un sistema paritario ancora ben lontano da essere attuato. Le più discriminate, secondo il rapporto, sono le donne che entrano in maternità e vengono spinte dal datore di lavoro a presentare dimissioni volontarie.

I 17 casi trattati non sono però che la punta dell’iceberg: molte donne, infatti, si rivolgono agli avvocati oppure ai sindacati e poi c’è il sommerso, ovvero chi non denuncia i soprusi per paura di perdere il lavoro. “Allo sportello vengono sopratutto le persone più fragili ma alla fine solo ⅓ di esse arrivano a una conciliazione completa, molte ritirano la denuncia perché hanno paura di non trovare più lavoro”, commenta Francesca Lazzari. Nel dettaglio la consigliera di parità segnala criticità nel settore pubblico, con una emergenza per le lavoratrici delle RSA con frequenti problematiche relative alla conciliazione soprattutto per le neo-mamme, nel settore privato con punti di criticità nelle micro imprese, nella ristorazione, nei contratti fragili soprattutto di somministrazione, nei sempre più frequenti episodi di mobbing e nel settore delle cooperative sociali che operano nell’ambito della pulizia e nei servizi alla persona. 

Le storie 

Gli episodi di discriminazione, diretta o indiretta, oppure di molestie e mobbing parlano da soli. Come il caso di una lavoratrice di un ente pubblico sanitario alla quale l’amministrazione, quando ha saputo della maternità, ha chiesto la trasformazione del rapporto da part-time a full time, con lo scopo evidente di costringere la lavoratrice alle dimissioni. Oppure la lavoratrice madre - praticante avvocato in attesa di sostenere l’esame di Stato che, dopo aver chiesto allo studio forense un adeguamento economico (dalle 200 euro al mese), è stata invitata a non presentarsi in studio, subendo gravi irregolarità e discriminazioni nel corso dell'intero periodo della pratica anche con violenza verbale (anche a sfondo sessuale) pesante, istigazione al suicidio, sfruttamento lavorativo. 

E ancora, il caso di molestia nei confronti di una donna in una media azienda metalmeccanica e quello di mobbing e demansionamento per discriminazione di genere, in una media azienda alimentare. E poi la storia di una lavoratrice e direttrice del settore turismo e ristorazione in un hotel del territorio appartenente a nota catena che ha esposto una situazione di molestia verbale a sfondo sessuale esercitata da un dipendente uomo, con mansione rilevante nell’organizzazione aziendale, nei confronti del personale principalmente femminile. Per non parlare della lavoratrice impiegata da 16 anni in una media impresa di trasporti e spedizioni che al rientro da terza maternità è stata demansionata con spostamento alla scrivania, oppure dell'impiegata di una media impresa continuamente spiata da una telecamera. 

I numeri della discriminazione

In Veneto, nel settore privato (anno 2022) la retribuzione di una donna in media è di 18.481 euro, mentre quella di un uomo è di 27.750 euro. In pratica, per quanto riguarda il salario tra uomo e donna, c’è una disparità del 33,4 per cento. Non è che la donna prende uno stipendio inferiore a quello di un uomo, ma recepisce uno stipendio inferiore per via dell’inferiore orario di lavoro che svolge. Nella nostra regione il 28,4 per cento dei dipendenti è in part time, cioè circa 478mila dipendenti: il 72 per cento è donna, ovvero 344mila dipendenti. E la scelta del part time viene fatta sempre dalla donna che mette in disparte il proprio talento e il proprio studio per accudire la famiglia.

I numeri arrivano dalla Uil Veneto. "Per invertire la rotta e permettere alla donna di emergere e di diventare protagonista nel mondo del lavoro bisogna che tutti quanti facciamo qualcosa in più, dobbiamo tutti rimboccarci le maniche e lavorare insieme, dalle istituzioni alle scuole, alla cultura - è il commento di Roberto Toigo, segretario generale del sindacato - non dobbiamo solo raccontarlo che la donna è l’asse portante della società e della famiglia e non dobbiamo ricordarcelo solamente quando ci deve stirare le camicie o preparare la cena”.

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