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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Il corteo nero e le lunghe ombre/ Con i miei occhi (seconda parte)

"Chi marciò quel giorno voleva rivendicare il diritto di avere giustizia, di essere ascoltato, di esistere rispetto a un mondo che continuava a relegare “nelle fogne” degli anni ’70 chi militava nella destra radicale". Poi la bufera mediatica e la distruzione della sede dell'MSI

Come il vento di una tempesta. Che muove il mare e lo infrange sugli scogli, senza fare danni. Questo è stato il 14 maggio 1994 nella tiepida Vicenza.

Chi pensava a disordini, scontri con i centri sociali o devastazioni si sbagliava. Da Viale Roma a piazza San Lorenzo sventolarono celtiche e tricolori. Con slogan duri nei confronti di giornalisti e magistratura per aver dimenticato in fretta gli attentati subiti quasi due anni prima. L’impatto visivo era potente, preoccupante, elettrico. Chi marciò quel giorno voleva rivendicare il diritto di avere giustizia, di essere ascoltato, di esistere rispetto a un mondo che continuava a relegare “nelle fogne” degli anni ’70 chi militava nella destra radicale. Che fossero skinhead o militanti del Fronte della Gioventù. Quel giorno, quel micro mondo di ragazzi e ragazze si prese la scena.

Fu un percorso breve ma lento, ritmato dal rumore degli anfibi e dalle scarpe da ginnastica sull’asfalto, dai “boia chi molla” che riecheggiavano tra i palazzi. Non so quanto durò, so però che mi sembrò non finissero mai quei metri. La voce iniziava a diventare roca mentre si perdeva nel megafono che tenevo stretto. Intorno a noi curiosi, un paio di fotografi, qualche giornalista e agenti della Digos in borghese che controllavano che non succedessero disordini.

All’inizio e alla fine del corteo le luci blu dei mezzi di polizia e carabinieri, a mettere in sicurezza la città bomboniera. Una cronaca scarna per i giornalisti che seguirono la manifestazione e così fu sui giornali il giorno dopo, tanto da meritare solo la cronaca vicentina, un piccolo riquadro sull’Unità e qualche tv locale. In sezione era tutto filato liscio, quasi nessuno del partito aveva dimostrato grande entusiasmo ma nemmeno sdegno. I più anziani, i reduci di Salò, ci strinsero l’avambraccio con gli occhi lucidi. E per noi, quasi tutti diciottenni, sembrò di aver conquistato il mondo.

Nessuno avrebbe pensato che due giorni dopo, in “quel mondo”, si sarebbe scatenato un inferno mediatico.

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