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Il corteo nero e le lunghe ombre: le trame della partita a scacchi

Ultimo capitolo sulla famigerata manifestazione skinheads a Vicenza del '94. Cosa si cela dietro la scelta della data? Uno scenario inquietante

Ciò che successe dopo il 14 maggio del 1994, lungo le vie di Vicenza, fu l’esempio lampante di come, una congiunzione di poteri istituzionali-politici-mediatici, cercarono di fermare la costituzione del primo governo Berlusconi in Italia. Non è fantapolitica o complottismo, è solo l’analisi lucida di fatti e retroscena che sono emersi nel tempo. Una logica sequenza di considerazioni che si incastrano alla perfezione in uno dei periodi più bui della Repubblica italiana. Un periodo in cui, la mancanza di potere dopo i fatti di Mani Pulite, scatenò le “zone grigie” di questo Stato. 

Una data “consigliata”


Il 14 maggio di quell’anno non fu un giorno scelto a caso. In realtà fu una data “accettata”, escludendone altre, da chi, nelle istituzioni aveva un ruolo chiave. In quel periodo, oltre agli agenti della Digos, che sorvegliavano e osservavano discretamente i luoghi di ritrovo sia del Veneto Fronte Skinhead che del Fronte della Gioventù, c’era una figura anonima e taciturna che spesso passava per Piazza San Lorenzo con il suo cappotto di cammello beige.

Non era una persona comune. Era il comandante provinciale dei carabinieri, il tenente colonnello Giovanni Antolini. Ufficiale dell’Arma che, successivamente al corteo e a uno strano “rapimento”, venne trasferito da Vicenza a Palermo, a comandare il reparto operativo speciale, il Ros. La serie A del settore investigativo. Un personaggio così sopra le righe che si presentò a una riunione notturna ristrettissima degli organizzatori del corteo, mentre si stava decidendo il come e il quando della manifestazione. Anomalia mai spiegata fino in fondo. 


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