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«La concia non si salva col rogo dei suoi veleni»

Giovanni Fazio, uno dei volti storici del mondo ambientalista berico, parla dell'impianto per il trattamento dei fanghi che le imprese vorrebbero realizzare nell'Ovest vicentino: e denuncia «il partito trasversale dell'inceneritore» che potrebbe trovare casa anche nel Veneziano

Di recente la rete ambientalista del Veneto centrale ha preso posizione contro l'impianto dei fanghi conciari che alcuni esponenti del mondo dell'impresa vorrebbero realizzare nel distretto Agno-Chiampo. Cillsa, una associazione ecologista dell'Ovest vicentino da anni attiva sul campo, «non ha però aderito» a quell'appello. «Quando abbiamo appreso della iniziativa, un po' in ritardo per vero, ci siamo subito mobilitati» sottolinea Giovanni Fazio medico arzignanese e volto storico di Cillsa.

Il quale per di più fa sapere che «la nostra adesione all'appello non si limitava solo a sostenere la causa di chi si oppone alla costruzione di un inceneritore in loco, cioè nel bacino del Chiampo». Il motivo? «Il nostro gruppo - spiega il medico - come tutti ben sanno combatte con discreto successo questa richiesta dei conciari, ma non si limita all'aspetto locale in quanto la salute è un diritto di tutti. Riteniamo, infatti, che i fanghi derivati dalla attività conciaria non debbano essere bruciati in nessun posto, né in Italia né all'estero». La posizione di Cillsa peraltro è nota dal 2012 e la recente querelle sull'impianto per il trattamento dei fanghi non ha spostato il punto di vista del gruppo ecologista, una posizione che nel distretto è spesso oggetto di diatribe e discussioni.

Dunque Fazio, ci sono parecchi settori del mondo della concia che ritengono le vostre posizioni non sostenibili perché alla fine non compatibili de facto con la presenza della industria conciaria. Voi come replicate?
«Quelle che non sono sostenibili non sono le nostre preoccupazioni per i gravi danni che potrebbero essere arrecati a decine di migliaia di persone a causa di un progetto altamente inquinante, bensì le aziende conciarie, come sono state realizzate nel corso degli anni».

Che significa esattamente?
«Il distretto conciario è troppo grande. E il depuratore di Arzignano, di cui si sono celebrati da poco i quarant'anni anni, non è assolutamente in grado di depurare le acque di scarico industriale e nemmeno di produrre fanghi trattabili, perché questi sono eccessivamente inquinanti».

È possibile dare qualche indicazione al riguardo? 
«Anzitutto ricordo l'enorme presenza di cromo trivalente che, come tutti sanno, non può essere bruciato ad alta temperatura poiché si trasformerebbe in cromo esavalente, notoriamente cancerogeno. Se invece si volessero bruciare i fanghi a bassa temperatura sorgerebbe il problema delle diossine, temibilissime anche queste».

E poi?
«Non aggiungo tutti gli altri prodotti inquinanti, altamente tossici, di cui sono i ricchi i fanghi di risulta. Inoltre non posso fare a meno di ricordare la gran quantità di Pfas, presenti già nella falde da cui si attinge l'acqua per il distretto industriale, ma anche nei prodotti usati per la concia: nel 2017 sono state vendute nel Veneto 103 tonnellate di prodotti per uso industriale contenenti Pfas, i temibili derivati del fluoro, e la maggior parte di questi sono usati nel distretto conciario. E mi fermo qui».

A questo punto il problema come andrebbe affrontato secondo voi?
«Il fatto è che chi si pone il problema dei fanghi parte dalla coda del processo e non dalla testa. Si dovrebbe cominciare dalla cosiddetta riviera, separando i fanghi derivati dal pelo e dal carniccio da quelli della concia vera e propria, recuperando già circa il 40% del volume inmaniera darenderli trattabili attraverso una serie di tecniche già a disposizione».

Ne siete davvero sicuri?
«Sì: certamente è un processo più costoso. Tuttavia è possibile».

Partendo dalla sua considerazione si potrebbe allora evitare la presenza di Pfas filtrando l'acqua in entrata e evitando di usare composti contenenti fluoro, come già stanno facendo grandi aziende che hanno accettato il progetto Detox di cui parla Greenpeace? Si tratta di una pratica realizzabile o è solo una astrazione?
«Certo che si può. E mutatis mutandis lo stesso vale per tutti i prodotti che potrebbero essere riciclati. Il che abbasserebbe di molto il gravame complessivo dei reflui. Motivo per cui non ci sarebbe assolutamente bisogno di grandi opere per smaltirli».

E quindi?
«E quindi il futuro delle concerie, se ci sarà, è solo nella revisione di tutta la filiera e non nel rogo dei veleni».

Che messaggio lanciate all'industria?
«Certamente non spetta a me insegnare ai conciari il loro mestiere. So di che alcuni di loro fanno ricerca per produrre prodotti migliori sotto il profilo ambientale. Dico solo che la tecnica della raccolta differenziata, del riciclo e dell'esclusione di alcuni materiali è la base di un processo virtuoso, l'unico che potrebbe garantire un futuro degno di questo nome alle concerie e ai cinquemila lavoratori che vi operano. Pertanto la sopravvivenza delle fabbriche è esclusivamente nelle mani dei conciari, nella loro disponibilità di adeguarsi ai tempi e al rispetto dell'ambiente e della vita umana».
    
In passato in seno alla vostra rete si è parlato di un modello toscano della concia che sarebbe più ecosostenibile. Però le cronache di recente parlano di inchieste portate avanti dalle autorità proprio per uno sversamento illecito di residui della concia. Come stanno le cose allora?
«Da diversi anni alcune industrie del cuoio toscane propongono ricerca e percorsi per giungere all'eliminazione totale dei rifiuti. Esiste all'interno dell'industria conciaria chi sostiene la tesi nota come rifiuti zero. Parlo di ciò citando il testo della locandina di un convegno, tenutosi a Marghera nell'ambito dell'Expo del 2015».

Che cosa venne riferito in quel contesto?
«Cito testualmente: la circular economy propone un modello strategico che mira, attraverso un'attenta progettazione di prodotti e processi, a preservare il valore dei prodotti il più a lungo possibile, eliminando il concetto di rifiuto. Ecco questa locandina è stata inviata dalla Associazione italiana chimici del cuoio insieme all'associazione Fare in rete ai propri iscritti».

Detto questo?
«Detto questo io non ho mai avuto occasione di recarmi a Santa Croce nel distretto conciario pisano perciò non sono in grado di giudicare se i messaggi che ci giungono da quell'area siano propaganda o corrispondano realmente ad un nuovo percorso di una parte dell'industria conciaria. So che in loco c'è un inceneritore per cui ritengo che nei giudizi si debba andare con i piedi di piombo. Per cui, mi si passi il sarcasmo, lascio ad altri il tifo per il derby Arzignano-Santa Croce: è evidente che quelle volte che ho commentato esempi di iniziative avanzate nella concia toscana per spronare gli arzignanesi ad imitarli non mi riferivo certo ai criminali che spargono fanghi di conceria sui campi, solo un idiota potrebbe pensarlo. Del resto questa prerogativa non è solo di alcuni criminali toscani: anche da noi, parlando in generale del mondo imprenditoriale, ci sono stati episodi simili e collusioni gravissime con le mafie. In una occasione c'è stato perfino il ritrovamento di un maxi carico di cocaina nel cortile di una nota conceria locale, mentre la vicenda è ancora avvolta nel mistero più assoluto. Non per questo mi sognerei di dire che tutti i conciari di Arzignano sono mafiosi e spacciatori».  

Quando si parla di impianto per il trattamento dei fanghi in realtà si parla di un qualcosa il cui iter è appena agli inizi, basti pensare che la procedura in capo a Acque del Chiampo identifica un ambito concettuale più che un progetto vero e proprio tanto che ad essere sinceri ancora non si sa che cosa sarà veramente questo impianto che molti chiamano inceneritore o altri termo-valorizzatore, al netto di tutti gli artifici semantici. Secondo lei perché Acque del Chiampo ha deciso di muoversi a passi così piccoli?
«Bisognerebbe essere nella mente di Andrea Pellizzari, ex amministratore delegato di Acque del Chiampo. Il quale di recente è stato defenestrato dalla giunta comunale arzignanese che è a trazione leghista».

Ma qualche idea voi ve la siete fatta?
«Pare che siano in dirittura d'arrivo un accordo con la municipalizzata di Vicenza, l'Aim, per realizzare a Marghera il cosiddetto trattamento fanghi. Stando ad altre letture, ma non è detto che una cosa escluda l'altra, questo trattamento potrebbe avvalersi dell'inceneritore di Fusina, che in Laguna potrebbe bruciare 50mila tonnellate di fanghi conciari all'anno. Ed è in qualche modo strano strano che a opporsi a questa ipotesi, che chiaramente agli ecologisti veneziani non sta bene, e a pretendere la costruzione d'un impianto all'interno del distretto arzignanese, siano due persone di peso nel mondo della concia che però hanno venduto le proprie concerie agli americani».

Parla di Luca Pretto e Rino Mastrotto?
«Sì. Ecco, mettendomi nelle scarpe di chi vuole smaltire incenerendo non mi è chiaro come mai Pretto e Mastrotto si impuntino per realizzare per forza in loco un eventuale impianto. C'è qualcosa che sfugge e che deve essere portato alla luce del sole. E ancor più strana è la foga con cui Stefano Fracasso, il capogruppo del Pd alla Regione Veneto, sostiene Mastrotto, che culturalmente gli è parecchio distante».

A Venezia si parla insistentemente di qualcuno che miri al business degli incentivi green. Di somme che tramite la Regione potrebbero arrivare dallo Stato o dalla Ue. Ne avete mai sentito parlare?
«Diciamo che alcuni sospettano una speculazione sui certificati elettrici, cioè finanziamenti che tuttora lo stato elargisce agli inceneritori. E poi c'è nebbia fitta, lo ribadisco ancora una volta,  persino sul nome che si vuole usare per un impianto del genere».

Sarebbe a dire?
«In passato si parlò di gassificatore. Opzione che fu già scartata dall'ex sibdaco arzignanese Giovanni Gentilin dopo che una analisi su un gassificatore cugino in Norvegia nel 2013 fece tremare i polsi all'Arpav che la realizzò. Aggiungo che la tecnica di gassificazione tramite pirolisi non è stata mai usata per una così grande mole di rifiuti conciari. E questa colossale alea di incertezza è stato uno dei fattori che ha fatto naufragare una soluzione alla norvegese».

Non mancano coloro che usano il termine termovalorizzatore dando ad intendere che possa essere qualcosa di diverso da un inceneritore. Lei che dice?
«Il termine termovalorizzatore viene furbescamente usato da coloro che non osano pronunciare la parola inceneritore ormai discreditata e pericolosa sul piano del consenso politico. Questi trucchetti semantici però noi li smascheriamo subito».

Come starebbero allora le cose?
«In realtà non c'è nessuna fonte termica da valorizzare in quanto il contenuto calorico dei fanghi è molto basso e forse, a stento, si recupererebbe il valore del gas usato per bruciarli».

E allora? 
«Che vuole che le dica. Mala tempora currunt. A pochi mesi dalle elezioni stiamo vivendo un momento poco chiaro. Sia nel Vicentino che a Marghera stiamo assistendo ad una lotta intestina tra fazioni di governo regionale, locale e strane alleanze col Pd di Fracasso. Ci sono pezzi del centrodestra che sono favorevoli e altri che sembrano remare contro. C'è un pezzo del Pd regionale vicino a Fracasso che rema a favore dell'impianto su posizioni assimilabili a porzioni della maggioranza. Pare che sotto il pelo dell'acqua prenda corpo il partito trasversale dell'inceneritore, mentre la lobby quella c'è già. Ma c'è un ma».

Quale?
«La grande manifestazione di sabato 13 giugno scorso alle Zattere di Venezia costituisce un monito serio. Un monito in forza del quale si avvertono lorsignori che la scelta di bruciare i rifiuti non sarà indolore per chi così malamente gestisce l'area lagunare e la regione».

Ma a questo punto un confronto aperto col mondo della concia ci dovrebbe essere?
«Sicuramente sarebbe molto positivo. E noi francamente lo auspichiamo, insieme alla gran parte dei cittadini della vallata. Tuttavia ci sembra estremamente improbabile che una realtà così composita come è quella del mondo conciario sia disposta a mettere a nudo i propri progetti e a confrontarsi seriamente con la popolazione in merito alla costruzione di un inceneritore».

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