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Venerdì, 19 Aprile 2024
Attualità Bassano del Grappa

Svolta col nuovo anno? L'affaire ponte di Bassano a un bivio

Dal 2 gennaio dovrebbe cominciare il restauro vero e proprio di uno dei simboli del Veneto: ma la querelle attorno al restauro del manufatto non si è esaurita

Il restauro del ponte vecchio a Bassano del Grappa, noto ai più come «Ponte degli alpini», è finito da mesi in un contenzioso che sta riempendo le cronache dei giornali. Da una parte c'è il comune guidato dal centrosinistra che col sindaco Riccardo Poletto difende con le unghie e coi denti le scelte compiute dall'amministrazione in materia di ristrutturazione di un manufatto le cui condizioni di salute preoccupano i cittadini.

Dall'altra c'è la ditta che inizialmente si era aggiudicata una commessa milionaria, ovvero la Vardanega di Possagno, la quale invece rinfaccia alla municipalità una serie di colpe nella preparazione dell'iter tali da avere messo l'intero restauro in forse. Il terreno delle carte bollate è divenuto nel frattempo un campo minato. Ma almeno all'oggi i round più importanti sono andati proprio al comune. Frattanto le prime settimane del 2019 saranno importanti per capire se il nuovo anno porterà davvero ad un punto di svolta. Anche in ragione del fatto che il cantiere già dal 2 gennaio dovrebbe rimettersi in marcia col restauro vero e proprio:  almeno stando al Corriere del Veneto di ieri a pagina 11 della edizione vicentina.

BREVE FLASHBACK

Epperò per focalizzare bene almeno un pezzo della lunga cronistoria della vicenda occorre riavvolgere il nastro almeno di sei mesi. Nel giugno di quest'anno i vertici della Vardanega annunciano la messa in liquidazione della società e l'affitto del ramo d'azienda con la gran parte delle attività in essere alla rossanese Imprevar, la diatriba si arroventa.  Giannantonio Vardanega, titolare della ditta che porta il suo cognome, come peraltro riportato dal Corriere veneto del 9 giugno 2018 parte lancia in resta: «Se estromettendo la Vardanega il comune pensa di aver risolto tutti i problemi del restauro del monumento, si sbaglia...

La messa in liquidazione e la cessione sono state decisioni sofferte, prese con i collaboratori a fronte di una situazione diventata ingestibile dopo il devastante urto mediatico del comune che ha determinato pesanti ricadute negative sul nostro lavoro, dal punto di vista operativo e finanziario. Se un ente mette in cattiva luce un'azienda del settore delle costruzioni, il danno è inevitabile». Sullo stesso quotidiano gli risponde a muso duro il sindaco Poletto: «Questi attacchi sono inaccettabili: semmai il danno di immagine lo ha avuto la città che da due anni attende l'avvio del restauro del monumento palladiano. La ditta è stata inadempiente. Punto. E chiediamo che restituisca la somma anticipatale di quasi 900mila euro al netto delle opere effettuate».

GIRO DI BOA E NUOVE DIATRIBE

All'inizio di settembre di quest'anno in realtà la vicenda ha visto un giro di boa quando la trentina Inco, con sede a Pergine, è subentrata alla Vardanega. L'iter in vista dell'inizio dei lavori, pur tra mille incognite, è ripreso. Ci sono infatti le rimostranze che tuttora Vardanega indirizza al comune. In città ci sono comitati favorevoli sì al restauro, ma non con quel progetto (tra le critiche le più aspre sono quelle degli architetti  Pino Massarotto e  Fabio Sbordone del coordinamento «Amici del ponte»). E c'è chi come l'assessore regionale alla formazione Elena Donazzan, la quale putacaso è bassanese, chiede addirittura che il progetto sia commissariato dal governo. Una idea che ha visto nuovamente il sindaco Poletto rispondere a muso duro rispetto ad una proposta che ha visto a palazzo Ferro Fini, la netta opposizione del consigliere regionale del Pd Alessandra Moretti, la quale non più tardi del 29 novembre ad Arv, l'agenzia di stampa dell'assise regionale, aveva messo sulla graticola la giunta veneta: «Una mossa del tutto strumentale, per alimentare le polemiche nei confronti della amministrazione bassanese... Basti pensare che i tecnici del comune mi hanno assicurato che gli aggiornamenti sull'andamento del cantiere sono stati riferiti costantemente alla Regione. La Lega quindi farebbe meglio a preoccuparsi della riapertura del tribunale di Bassano e del progetto di approvazione della centralina idroelettrica a poche centinaia di metri dal fiume Brenta, che andrà ad impattare sul monumento...». In più d'una occasione peraltro Moretti aveva spiegato che il nuovo appaltatore, almeno stando alle rassicurazioni dei tecnici del comune bassanese, in poco più d'un paio d'anni completerà i lavori. Il cui iter peraltro era iniziato nel lontano 2012.

I DUBBI DELLE OPPOSIZIONI

In questa vicenda però anche l'opposizione che siede al consiglio comunale di Bassano ha le idee chiare. Il consigliere del Carroccio Tamara Bizzotto pur dicendosi lieta del fatto che «le recenti piene non abbiano messo a rischio la staticità del ponte» ha una sfilza di perplessità. «A brevissimo dovrebbero cominciare i lavori. Ma il vero punto è quali lavori cominceranno» si domanda la leghista, il cui auspicio è che al più presto l'assessore ai lavori pubblici Roberto Campagnolo, che è pure vicesindaco, «con l'aiuto dei tecnici del comune possa riferirci nel dettaglio lo stato della situazione». Una delle principali preoccupazioni del consigliere, condivisa peraltro da amplissimi settori della minoranza, riguarda la eventualità che il progetto voluto dal comune porti con sé delle interferenze con l'assetto complessivo del ponte, che per inciso venne progettato da Andrea Palladio nel XVI secolo e poi più volte ricostruito. Interferenze che potrebbero materializzarsi, tra le altre, con quella porzione di ponte, comunemente detta spalla Nardini, riferibile giustappunto alla proprietà della famiglia Nardini, nota tra le altre per la omonima grapperia.

E infatti «avere contezza» di quali possano essere le ripercussioni dei lavori messi in campo su input del comune rispetto al manufatto oggi esistente, sarà cruciale, sostiene Bizzotto, per capire «verso quale direzione si muoveranno i lavori stessi». In parole povere gli approfondimenti tecnici che potrebbero giungere dagli uffici comunali, rimarcano le minoranze, saranno utili a capire se in futuro potranno essere necessarie varianti o «altri aggiornamenti progettuali». La questione non è di lana caprina, non solo perché una eventuale variante potrebbe allungare i tempi dell’intervento, non solo perché una variante potrebbe far lievitare i costi, oggi attestati sui quattro milioni di euro, non solo perché il ponte è un bene tutelato dalle belle arti e non solo perché il cantiere di fatto è rimasto incagliato per anni con tutto ciò che ne consegue in termini di logorìo e di esposizione al carico della corrente fluviale delle strutture lignee che lo sorreggono: ma soprattutto perché il ponte è uno dei simboli di tutto il Veneto.

Un danno irreversibile «sarebbe una iattura di portata nazionale». E non a caso ai primi del mese di novembre una porzione del consiglio comunale era stata dedicata proprio a questo argomento. In quel frangente il vicesindaco si era detto ottimista parlando di una situazione che volgeva al sereno. Di avviso opposto erano state le minoranze: secondo le quali appunto taluni aspetti del progetto potrebbero essere incompatibili con le attuali condizioni del manufatto.

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