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L'abete di papa Francesco, «risparmiato da Vaia, stroncato dalla mano dell'uomo»

Una dottoressa forestale di Roana critica ferocemente «il Consorzio degli usi civici di Rotzo, Pedescala e San Pietro Valdastico» che ha avallato il taglio del sempreverde finito in piazza San Pietro a Roma

L'albero di natale «che proviene dall'Altopiano di Asiago, da Rotzo in particolare» e che è stato donato al Vaticano era scampato alla furia della tempesta Vaia e per questo la cosa costituisce «un vero e proprio scempio nei confronti della natura». I sindaci del comprensorio asiaghese che non si sono battuti contro questa scelta in una con «il Consorzio degli usi civici di Rotzo, Pedescala e San Pietro Valdastico che ha donato il sempreverde al soglio pontificio», debbono essere considerati moralmente responsabili di quanto accaduto. Lo sostiene Marta Frigo, una dottoressa forestale nativa di Roana, che ieri ha inviato proprio ai sindaci dell'Altopiano dei sette comuni e a quelli del comprensorio di Valdastico una lettera aperta al vetriolo.

«Un anno fa - scrive giustappunto la dottoressa - la tempesta Vaia ha sconvolto il paesaggio dell'Altopiano di Asiago, la mia terra natale, ricca di storia e bellezze naturali. Per fortuna non tutto l'Altopiano è stato devastato e riflettevo sul fatto che gli alberi rimasti in piedi avrebbero rappresentato l'inizio di una nuova vita per la mia terra martoriata».

Poi i toni si arroventano. «Purtroppo qualcuno ha deciso che uno di questi alberi, un bellissimo e armonioso abete rosso di settanta anni simbolo di forza e bellezza, doveva essere ucciso per abbellire la piazza del Vaticano durante le feste natalizie. Settant'anni spazzati via in pochi minuti dalle motoseghe. Quella pianta sarebbe potuto diventare un patriarca, un vero monumento della natura».
 
Si tratta di parole che pesano come pietre cui poco dopo si aggiunge un'altra riflessione: «Pensavo che dopo una tempesta che ha stroncato, con la furia di un castigo, milioni di alberi e chissà quante altre vite, nei boschi del Veneto e del Trentino, le piante rimaste in piedi dovessero essere protette e difese come perle preziose, vero simbolo di una vita che rinasce dopo la morte. Purtroppo mi sbagliavo. In un mondo capovolto come il nostro - rimarca Frigo - nella mente degli amministratori e nell'immaginario collettivo è diventato simbolo di rinascita un albero morto, sradicato brutalmente dal suo ambiente naturale: veramente una cosa da non credere».

L'autrice della lettera ai sindaci fa poi anche una considerazione di natura educativa. «L'abete di Malga Trugole tagliato, ironia della sorte pochi giorni prima della festa degli alberi il 21 novembre,trasportato con un elicottero e caricato su un tir è partito per Roma per un viaggio a kilometro zero festeggiato dai sindaci del consorzio e salutato dagli alunni delle scuole. È davvero molto educativo mostrare ai bambini un albero morto che fra un paio di mesi passato il Natale finirà nel fuoco». Le luminarie della pianta peraltro erano state accese il 10 dicembre con una breve cerimonia che ha fatto il giro dei social network.
 
E tuttavia la vis polemica dell'estensore della missiva non si esaurisce. «Accomunati dallo stesso destino, migliaia di alberi anche quest'anno sono stati abbattuti per abbellire le nostre piazze - si legge - in nome di una tradizione senz'altro bella e suggestiva che però è sempre uguale a sè stessa e non viene mai messa in discussione al fine di renderla veramente sostenibile sia dal punto di vista etico che ambientale. È proprio vero - prosegue la Frigo - che Vaia non ha insegnato niente; continuiamo a percorrere le stesse strade, con le stesse logiche di sempre come se nulla fosse successo, senza un'evoluzione culturale che cambi la nostra visione del mondo, nonostante le tragedie che continuamente avvengono intorno a noi, nonostante i messaggi che la nostra Madre Terra continua a mandarci. Si dice che la storia è maestra di vita purtroppo quest'ultima non ha allievi».

La lettera si conclude con un passaggio che non lesina critiche al Vaticano e al Soglio di San Pietro, che però contiene anche quella che potrebbe costituire una proposta per gli anni a venire: «Ma scusate, l'enciclica del Papa Laudato si non parla di salvaguardia del creato? Allora, per ricordare la tragedia di Vaia, non sarebbe stato molto più bello, educativo e sostenibile far fare ad un artigiano dell'Altopiano un bellissimo albero con il legno degli abeti abbattuti? Questo a mio avviso avrebbe rappresentato un vero messaggio di vita e di speranza, un vero cambio culturale. Purtroppo non è stato così. Ora lassù a Malga Trugole» il luogo dell'abbattimento della pianta, «rimane una profonda ferita: dove c'era un bellissimo abete rosso» c'è solo una ceppaia morta (in foto) a testimoniare l'ennesima occasione perduta, sostiene l'autrice della lettera, «per andare oltre l'orizzonte e far nascere una nuova visione di futuro».

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